1975, maggio.



Tutti i ricordi di Roger che avevano a che fare con gli ospedali erano da includere nella categoria traumi a vita: c'era stata la volta in cui, da ragazzino, ci era andato con la madre a causa del braccio che si era rotto per recuperare la bicicletta di Syd, poi c'era stata la volta in cui aveva accompagnato Ginger, fuori di sé dalla preoccupazione, quando Jennifer aveva avuto la brillante idea di assumere una pasticca di acidi ed infine era stata la volta di quella che il gruppo aveva ribattezzato alle sue spalle la grande impresa di Pompei; nel corso di tutte e tre le esperienze a dir poco traumatizzanti, il bassista aveva sviluppato un vero e proprio sentimento di odio nei confronti delle strutture ospedaliere in generale, e se sopportava a fatica la loro vista sopportava ancora meno l'odore di disinfettante che regnava dentro ad esse, così forte ed aggressivo da far girare la testa e da cancellare qualunque altro odore, anche quando ormai si era usciti.

Roger odiava con tutto sé stesso quell'odore di disinfettante, e lo odiava ancora di più dagli ultimi mesi di vita di Ginger, e di conseguenza, quando uscì dallo stato di torpore che anticipava un risveglio, ancora prima di aprire gli occhi, già sapeva di trovarsi in un ospedale; quando sollevò le palpebre, non ebbe altro che la conferma finale perché si ritrovò a fissare un soffitto completamente bianco, le sue narici vennero aggredite dall'odiato odore di disinfettante e le sue orecchie dai suoni tipici di una struttura come quella: le porte di un ascensore che si aprivano e chiudevano, telefoni che squillavano, dottori o infermiere che venivano chiamati ad alta voce, il bip costante di un macchinario che rilevava i parametri vitali di qualcuno, il sordo picchiettio del liquido di una flebo.

Quell'ultimo particolare spinse il giovane uomo a corrucciare le sopracciglia.

Come riusciva a percepire così forte e chiaro un suono così insignificante? L'unica spiegazione possibile era che qualcuno avesse sistemato una flebo funzionante proprio vicino a lui, ma per quale motivo? Forse per il suo vicino di letto? Aveva un vicino di letto, anziché una stanza tutta per sé?

Girò lentamente la testa verso destra e scoprì che il suono ovattato che sentiva così chiaramente proveniva proprio da una flebo funzionante, ma a differenza di quello che aveva pensato, non apparteneva a nessun vicino di letto: c'era solo lui dentro la stanza, proprio perché era una stanza riservata; seguì con lo sguardo il percorso del filo di plastica trasparente per poi scoprire, con orrore, che terminava con un ago conficcato all'interno del suo polso destro.

Quella flebo era per lui. Gli stavano iniettando qualcosa, da chissà quanto tempo, e per chissà quale motivo.

"Ohh, merda" sussurrò, spalancando gli occhi azzurri, e subito nella sua mente si delineò una sola e terribile domanda: perché diavolo si trovava in ospedale?

Perché non ricordava nulla?

E perché aveva un ago impiantato nel polso destro?

Cosa cazzo era accaduto?

"D'accordo... D'accordo, cerca di mantenere la calma e di ragionare con lucidità, lasciarsi andare al panico non porta a nulla. Pensa. Perché hai una flebo attaccata al polso? No! Non pensare alla flebo attaccata, altrimenti vorrai strapparla via, pensa al perché hai una flebo attaccata al polso destro" iniziò a dire a bassa voce, parlando a sé stesso e sforzandosi di tenere gli occhi fissi sul soffitto, anche se tutto quel bianco gli provocava uno sgradevole senso di nausea "a cosa servono le flebo? Servono per... Per far riprendere una persona quando ha un calo di zuccheri, ma certo! Ovvio! Hai avuto un calo di zuccheri, tutto qua!".

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