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1983, aprile.





Pamela Rose Anderson era certa che non avrebbe mai dimenticato quel giorno per il resto della propria vita, esattamente come non aveva ancora rimosso dalla mente quello in cui aveva appreso della malattia senza cura di Ginger e quello in cui era stata costretta a lasciarla andare.

Tutto era iniziato con una telefonata allarmante di Harry: il bimbo, in lacrime e nel panico più totale, era riuscito solo a dirle di andare da loro il prima possibile perché era successo qualcosa di molto brutto e la mamma stava male; Pamela era salita subito in macchina e quando era arrivata a casa della figlia adottiva minore in tempo record, schiacciando al massimo il pedale dell’acceleratore ed ignorando per la prima volta in vita sua i semafori rossi, e l’aveva trovata sdraiata in modo scomposto sul vialetto principale, incapace di alzarsi e di parlare, aveva capito quanto la situazione fosse ancora più grave di quello che Harry aveva provato a spiegarle per telefono.

Aveva subito chiamato un’ambulanza, aveva portato Harry a Cambridge da Mary ed ora si trovava ancora nella sala d’attesa di un ospedale, a rigirarsi un fazzoletto di carta tra le mani, con la speranza di ricevere notizie su Jennifer il prima possibile.

“Signora Anderson?”.

Pam alzò di scatto la testa sentendo chiamare ad alta voce il proprio cognome, lasciò cadere quello che ormai non poteva più essere considerato un fazzoletto di carta e si affrettò a raggiungere l’infermiera in questione, chiedendole subito, in tono agitato, quali fossero le condizioni fisiche di Jennifer.

“Si calmi, signora Anderson, non ha nulla di cui preoccuparsi. Prego, mi segua” Pamela si affrettò a seguire l’infermiera lungo un corridoio e lei le diede tutte le informazioni che stava aspettando con trepidazione da chissà quanto tempo; potevano essere passati benissimo pochi minuti come diverse ore, aveva perso la cognizione del tempo nello stesso momento in cui si era lasciata cadere su una sedia di plastica, dopo che le era stato impedito di seguire la figlia in una stanza “sua figlia sta bene. Ha avuto un crollo nervoso, ma adesso sta molto meglio grazie alla flebo di tranquillante che le stiamo somministrando. È libera di tornare a casa non appena la flebo sarà vuota. Ohh, ovviamente anche il bambino sta bene. Fortunatamente la caduta non gli ha causato alcun danno, è tutto apposto, può stare tranquilla anche sotto questo punto di vista, ma d’ora in avanti è meglio che sua figlia presti molta più attenzione al suo stato interessante”

“Bambino?” domandò Pamela, sbattendo le palpebre, dimostrando di cadere completamente dalle nubi; Jennifer non le aveva mai detto nulla riguardo ad una nuova gravidanza, non sapeva che fosse incinta.

L’infermiera si fermò davanti alla porta di una stanza e si voltò a guardare la donna di mezz’età; sul suo volto era impressa la stessa espressione stupefatta.

“Ohh, non lo sapeva ancora? Mi dispiace averle rovinato la sorpresa, non ne avevo proprio idea, credevo che… Ad ogni modo, ora può pure entrare a farle visita. Immagino che sua figlia sia molto ansiosa di vederla”

“La ringrazio” mormorò Pamela, ancora confusa per la notizia inaspettata ricevuta da una completa estranea.

In realtà lei per prima era molto ansiosa di vedere Jennifer e di rivolgerle un paio di domande, a partire da quello che era successo a casa e proseguendo con il bambino menzionato dall’infermiera.

Jen era seduta su un lettino, con la schiena appoggiata ad un cuscino per stare più comoda, affianco a lei c’era un sostegno metallico a cui era appesa la flebo di tranquillante che un medico era stato costretto a somministrarle per placare il suo crollo nervoso ed il pianto isterico; aveva un aspetto così sconvolto, così stravolto, che assomigliava terribilmente a Ginger nei giorni successivi alla scoperta di avere una malattia che non poteva essere curata in alcun modo.

Remember A Day; Pink Floyd (✓)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora