A diciassette anni Atlas capì di essere ad un punto morto.

Era nel proprio letto, il sole faceva capolino tra le assi di legno che chiudevano la finestra e le braccia di Leander lo stringevano in un abbraccio caldo e sicuro.

Avrebbe voluto chiudere gli occhi e non svegliarsi mai più, morire lì in quel momento e non dover affrontare tutto quello che sarebbe venuto dopo.

Leander dormiva ancora, sembrava un angelo caduto dal cielo; i capelli biondi spettinati creavano disegni buffi sulla federa chiara del cuscino, il naso drittissimo si contorceva ogni tanto quando i capelli di Atlas lo solleticavano e le labbra sottili erano schiuse in un respiro lento e rilassato.

Era bellissimo, non riusciva a pensare ad altro.

Da un anno, tutte le notti, sgusciavano insieme a casa di uno o dell'altro e facevano l'amore finché non sentivano i galli cantare all'arrivo dell'alba. Era stato così semplice unirsi, perché erano una persona sola da quando avevano undici anni e sentirsi completi era stata la cosa più naturale al mondo.

Eppure, nel petto di Atlas cresceva sempre più quel peso che nemmeno i sussurri di Leander riuscivano a placare.

L'idea di quel matrimonio lo stava logorando dall'interno. Si svegliava di colpo con l'immagine di una ragazza vestita di bianco, col viso in ombra, che lo aspettava su un altare macabro circondato da corvi e teschi: un incubo che non lo abbandonava mai.

E così quel giorno decise che non poteva più scappare, non poteva più prendere in giro Leander.

Sollevò le dita, percorse lentamente il profilo rilassato del ragazzo. Si sporse a baciare le sue labbra; ebbe l'impressione che fosse l'ultima volta e sentì le lacrime pizzicargli gli occhi al solo pensiero.

«Buongiorno, principino».

La voce impastata di Leander lo raggiunse prima della consapevolezza che fosse sveglio. Lo vide aprire un occhio, strizzarlo e poi aprirli entrambi e Atlas si perse per la milionesima volta in quel mare scarlatto.

«Ehi, buongiorno», rispose con un sorriso baciandogli la punta del naso.

Ma Leander aveva cambiato espressione, le sue dita avevano raggiunto il viso di Atlas e quando si ritrassero erano bagnate da lacrime salate.

«Che succede?»

"Eccolo", pensò Atlas, "il momento che non volevo arrivasse".

Sospirò, si mise seduto sul letto.

«Devo parlarti di una cosa», mormorò abbassando la testa senza il coraggio di guardarlo. E cominciò a parlare, e più parlava più sentiva le lacrime rigargli le guance. Tirò fuori il suo dolore, la rabbia che provava, la paura, il disgusto, la frustrazione, l'amore per lui.

E Leander rimase fermo, immobile, paralizzato da quella confessione che gli stava togliendo ogni certezza.

«Tra un anno... sposerai la nipote del Sacerdote», mormorò come se ripeterlo ad alta voce lo aiutasse a mettere in ordine i pensieri.

Atlas annuì, ormai aveva gli occhi completamente arrossati dalle lacrime.

«Perché non me l'hai mai detto?»

C'era una nota di panico nella voce di Leander, come se stesse cercando di metabolizzare presto la notizia in modo da cercare subito una soluzione.

«Io non... non ci ho mai davvero dato peso. Non mi importava, non pensavo... Non pensavo mi sarei innamorato di qualcun altro, non pensavo che sarebbe stato così...»

Un singhiozzo interruppe quello sfogo, Leander si avvicinò a lui prendendogli le mani e costringendolo a guardarlo.

«Atlas, scappiamo.»

Written in the starsWhere stories live. Discover now