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7 luglio

Non succedeva mai niente, il 7 luglio; il dottor Yagami continuava a ripeterselo mentre si girava i pollici nella saletta vicino all'ingresso.

Guardava l'orologio e si chiedeva come fosse possibile aver studiato dieci anni della sua vita e fatto anno di tirocini e specializzazioni per ritrovarsi ad aspettare la fine del suo turno tra una partita a scacchi sul telefono e un cruciverba sul vecchio giornale di gossip lasciato dalle inservienti.

Sbuffò buttando di lato il giornale e si alzò con l'idea di prendersi un caffè, ma fu fermato da un'infermiera che correva verso l'area di traumatologia.

«Dottore! Trauma in arrivo, si prepari!»

Le mani del dottore tremarono d'eccitazione; mollò tutto ciò che aveva in mano e corse a vestirsi raggiungendo l'esterno del pronto soccorso dove stava arrivando un'ambulanza a sirene spiegate.

«Cosa abbiamo?»

Le porte del veicolo si spalancarono; i paramedici scesero insieme al paziente, uno di loro era arrampicato sulla barella e premeva con forza sull'addome del ragazzo.

Andò subito a controllare i parametri vitali; il respiro era appena percettibile, il battito lento ma costante.

Il ragazzo sdraiato sulla barella era debolmente cosciente, ma sedato. I suoi occhi si guardavano intorno come se cercasse qualcosa, probabilmente qualcuno, eppure non riusciva a muovere un muscolo.

Una dottoressa prese posto dall'altro lato mentre il paramedico scendeva dalla barella e le lasciava il posto, ma lei si impietrì di colpo.

Sgranò gli occhi e scosse freneticamente la testa, poi cacciò un urlo che fece rabbrividire l'intero reparto; il dottor Yagami pensò che il mondo si fosse appena rovesciato.

«Dottoressa?»

La donna continuava a scuotere la testa, il ragazzo voltò la testa di lato e la guardò con due iridi dello stesso rosso rubino che aveva sempre contraddistinto le occhiatacce del primario di traumatologia. Sul viso del giovane apparve un'espressione di sorpresa e, inspiegabilmente, di sollievo.

«M-Mamma?»

La sua voce era un sussurro sibilante, ma sembrò urlare. La donna, in lacrime, annuì appena stringendo la mano del figlio mentre il paramedico metteva al corrente il dottor Yagami.

«Katsuki Bakugou, 26 anni, gruppo sanguigno A positivo, ferita da arma da fuoco al torace e all'addome».

La dottoressa Bakugou era un'istituzione nel campo della medicina; oltre ad essere uno dei migliori chirurghi del paese, era anche una delle donne più fredde e riservate che si fossero mai viste.

Per questo, forse, vederla distrutta sul corpo massacrato del figlio diede a tutti un motivo in più per sbrigarsi.

Il medico spostò subito la sua attenzione alle ferite, cercava di capire se ci fossero fori d'uscita ma c'era troppo sangue per pensare anche solo di spostarlo.

«Dobbiamo portarlo in sala», allungò la mano verso uno degli specializzandi. «Intubatelo, io devo...»

La mano del ragazzo si mosse tremante fino a chiudersi intorno al polso del medico, doveva aver usato tutte le sue forze per quell'unico movimento.

Lo guardava con aria dura, faceva fatica anche solo a tenere gli occhi aperti.

«Dov'è...lui?»

Il medico schiuse le labbra confuso, poi alzò lo sguardo sulla collega che scosse la testa altrettanto confusa.

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