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231 giorni al 7 luglio

Katsuki passò i giorni successivi a guardare il verdino senza il coraggio di mettere in pratica i consigli degli amici.

Passavano parecchio tempo insieme senza più nemmeno doverlo giustificare; stavano in officina il più delle volte e lui non riusciva a togliersi dalla mente le parole di Deku riguardo alle presunte stelle nei suoi occhi.

Non avevano mai tirato fuori l'argomento, faceva troppa paura ad entrambi, eppure aleggiava tra loro e li colpiva forte ogni volta in cui i loro sguardi si incrociavano.

Katsuki non gli raccontava più molto di sé, si sentiva perso in un limbo da cui non sapeva uscire; sentiva il bisogno quasi spasmodico di passare del tempo con Izuku, di ascoltarlo parlare, di sapere come fosse al tatto la sua pelle, e allo stesso tempo l'idea di rovinare tutto quello che aveva conquistato lo perseguitava come un fantasma appollaiato sulle sue spalle. Perché ne era certo, lui, che sarebbe riuscito a distruggere Izuku come aveva fatto con Ochako e con tutte le persone prima di lei.

In genere stava a sentire, ma si sforzava davvero per trovare argomenti di conversazione e questo ad Izuku faceva sempre un certo effetto.

Il verdino imparò a riconoscere i diversi attrezzi usati dal meccanico, di tanto in tanto glie li passava in modo sempre più disinvolto causando nel biondo crampi allo stomaco non indifferenti.

Si perdevano spesso a guardarsi senza che l'altro se ne rendesse conto, quando uno disegnava o l'altro lavorava.

Era strano, eppure bellissimo, ed entrambi sentivano di voler mettere sempre più da parte la ricerca di quell'amore perfetto che sembrava non esistere per concentrarsi invece sulla realtà che rappresentavano loro due insieme.

Così passarono i giorni, le stagioni scivolarono via attorno a loro e presto arrivò dicembre.

Facevano tante cose insieme, che fosse andare al cinema a vedere l'ultimo film della Marvel o in qualche galleria d'arte dove Izuku osservava le più disparate opere con gli occhi che brillavano mentre Katsuki guardava Izuku; perché per lui non esisteva un quadro, una statua o una scultura che potesse catturare la sua attenzione più delle dita di Izuku che sfogliavano la guida sulla vita dell'artista di turno.

Fu durante una di quelle visite che Katsuki si rese conto di non poter più tornare indietro.

Izuku lo aveva trascinato alla mostra di uno dei suoi scultori preferiti: Antonio Canova.

Lo aveva sentito blaterare a riguardo per giorni interi, alla fine aveva accettato di accompagnarlo sbuffando.

«Mi farai venire un esaurimento nervoso», gli aveva detto mettendo una mano sugli occhi mentre Izuku saltellava in giro. La verità era che aveva pregato con tutto sé stesso che insistesse per andarci con lui piuttosto che chiederlo a Shoto o a Denki.

Si era ritrovato a camminare tra lunghi corridoi colmi di foto e riproduzioni delle statue più belle di Canova.

«Questa è una riproduzione di Dedalo e Icaro», mormorò indicando estasiato la scultura di un padre ed un figlio. Gli raccontò del loro mito, di come Icaro si era avvicinato troppo al sole con le sue ali di cera e di come era caduto in mare quasi fosse una punizione per aver cercato di toccare con le dita qualcosa di tanto sacro.

Era così che si sentiva con Izuku, a pensarci: come un disperato che tende le mani verso qualcosa che sa di non poter avere.

«...sarebbe bellissimo.»

Izuku sospirò incantato, Katsuki si riscosse alzando un sopracciglio.

«Cosa?»

«Uh? Ma non mi ascoltavi?!»

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