Capitolo 2

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Samantha aveva sempre odiato la notte.

La notte, e la pioggia.

Davvero non capiva tutta quella gente che diceva cose tipo

"amo il rumore della pioggia! Starmene a letto mentre fuori c'è il temporale, troppo figo, non credi?"

No.

Anni di esperienza l'avevano portata a capire che certe cose non erano fighe per niente. Certe cose, per una persona come lei, non facevano altro che peggiorare il suo già precario equilibrio mentale.

Così, alle due del mattino di un giorno schifosamente cupo, se ne stava fuori, decisamente agitata, filtro in bocca e cartina lunga pronta all'uso.

Quella era un'abitudine malsana iniziata ormai già da qualche mese, un po' per colpa di google, la marijuana aiuta a calmare i nervi, un po' per colpa del suo collega, che aveva un amico, cugino di un tizio, che conosceva uno che coltivava nel garage di casa e ti assicuro che è una bomba, baby.

Ovviamente l'unico effetto che le faceva era quello di auto-convincersi che l'avrebbe aiutata; credeva più che altro nell'effetto placebo, chiaramente senza risultati.

Però era buona davvero, baby, e qualche canna non aveva mai ucciso nessuno. In teoria.

Illuminata solo dalla torcia del cellulare, dava vita a uno spinello che somigliava più a una di quelle mini carote rimaste in frigo una settimana di troppo, un po' raggrinzita e molliccia, dall'odore piuttosto intenso.

Bhe, con le mani che le tremavano in quel modo, non avrebbe potuto aspettarsi di meglio.

Il cielo si stava scurendo ancora di più, in lontananza un tuono l'avvisava che il peggio doveva ancora venire.

Divertente, considerando che tra meno di tre ore si sarebbe dovuta mettere alla guida, trentadue chilometri di pura agonia, e poi otto ore a fare un lavoro da uomo, spaccandosi la schiena, avendo fumato una canna e dormito meno di zero.

Si prospetta davvero una splendida giornata, Sam.

Questa ed altre innumerevoli frasi cariche di pessimismo le si formavano, a chiare lettere, sotto le palpebre, mentre aspirava il primo tiro, profondamente e senza tossire.

Ormai era diventata un'esperta.

Aspettava il giorno in cui i suoi avrebbero sentito l'odore, dato che la finestra della loro camera stava esattamente sopra la sua testa, ma faceva affidamento al loro sonno profondo. Olivia, invece, viveva lontana per studiare, per cui un pensiero in meno.

Buffo, pensò. Se potessi contare tutti i pensieri che ho in testa non finirei mai.

La cosa che più la martellava era che l'unica artefice di parole, immagini, frasi, tutto ciò che lei definiva la merda che ho in testa, era proprio lei stessa. E non aveva in nessun modo potere su quei pensieri, non poteva fare niente per cambiarli o decidere di trasformarli in qualcosa di positivo e sentirsi impotente, di notte, con un temporale in arrivo ed una canna tra le dita, le preannunciava che il peggio era arrivato.

Sarebbe bastato un piccolo innesto.

Un lampo che illuminasse le sue mani tremanti e poi...

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Come previsto, bastò davvero poco.

Un lampo, e tutto cominciò.

Come da routine, iniziarono a informicolarsi le punte delle dita. Mignolo, anulare, medio. Era come un segnale premonitore: dopo di quello sarebbero arrivati i singhiozzi, la tachicardia, una sensazione di macigno all'altezza delle costole.

Samantha, che era pronta a tale evenienza, si rese conto per l'ennesima volta che a queste cose non ci si abitua mai.

Non ci si abitua al dolore. Ci si convive, sì, ma non ci si abitua.

Come di consueto, oltre alla reazione fisica, iniziò anche quella mentale:

Non farò mai niente nella vita.

I miei genitori non mi amano come amano mia sorella.

Non ho un uomo, non l'avrò mai.

L'amore non esiste.

Sono sola.

Con questi pensieri e le lacrime agli occhi, spense la canna nel posacenere e si sedette sullo scalino della porta d'ingresso, accogliendo in lei tutto il dolore di una vita insoddisfacente, abbracciandosi le ginocchia e soffocando il pianto tra le braccia mentre il suo cane, un dalmata grande e grosso di nome Sirius, le stava affianco.

Iniziò con dei piccoli guaiti e dei colpetti di naso, per poi leccarle dal pigiama le lacrime salate.

Samantha si ricordò che, in un libro letto di recente, c'era una citazione riguardo alle lacrime: "non esiste una spiegazione scientifica per il pianto. Non c'è nessun motivo concreto per cui le ghiandole lacrimali, quando sollecitate dalle emozioni, producano lacrime in eccesso."

Eppure lei, di lacrime in eccesso, ne sapeva molto.

Era sempre stata una ragazza di quelle che all'esterno si fa vedere molto forte, ma, nel privato della sua intimità, piangeva davvero tantissimo.

Anche per stupidaggini, anche per un semplice film.

La sensibilità ereditata da sua madre era stata più una maledizione che un dono, di questo ne era certa.

Eppure, da un certo punto di vista, a lei piaceva piangere.

Le piaceva cedere, dare il benvenuto ad un dolore che stava sempre nell'orlo degli occhi, nelle punte delle dita, tra una costola e l'altra.

Cercò di parlare con Sirius, per calmarsi.

"Ehi, cagnolone"

Guaito.

"Lo so, tu mi ami vero?"

Guaito di approvazione.

"Non solo perché ti do do mangiare, vero?"

Leccatina.

"Almeno tu mi stai vicino. Quante volte mi hai vista piangere eh?"

Con uno sguardo che diceva coccole, Sirius accettò di buon grado le carezze della padrona che, piano piano, si calmò, si alzò, e andò a prepararsi per una nuova giornata di lavoro.

Fiamme Gemelle, amore e destinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora