•8 - La camminata della vergogna.

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Mi lascio un sospiro esasperato, mentre sto cercando di mettere a posto le cose a casa mia.
Appoggio la schiena contro al muro, tenendo gli occhi sulla cornice rotta che ho tra le mani.
La foto è rovinata e rotta, questo mi fa nascere una sensazione allo stomaco e al petto che mi costringe ad accasciarmi e scoppiare in lacrime.

Era l'unica cosa che mi era rimasta di lui. L'unica foto che avevo di mio padre e adesso, non c'è più niente.
Alzo gli occhi sul soffitto, mentre per la mia testa passano le immagini di quel giorno.

«Wow - dico, appoggiando la borsa con i libri - la mamma ha cucinato la sua specialità. Che cosa festeggiamo?» Chiedo, mentre mi tolgo la cravatta della divisa scolastica.
«Tuo padre è stato promosso!»

Guardo subito mio padre, che sembra tutto tranne che contento.
Ha una strana espressione, quasi come se fosse preoccupato e ha le braccia conserte al petto.

«Non sei contento?» Gli chiedo.
Yena e Jaemin, corrono per il corridoio e ridono.
«Certo che lo sono» mi risponde. Inclino la testa di lato, ma lui mi sforza un sorriso e prova a rassicurarmi con il suo sguardo.

«Ci sono alcune cose, per niente belle che riguardano quell'agenzia.»
«Ad esempio?»
«Jungkook - sospira - non ti preoccupare.»

Scuoto subito la testa, per scaggiare tutte le immagini e i ricordi.
«D'accordo. Allegria, Jungkook» mi dico e cammino verso lo stereo, che almeno mi hanno lasciato, per mettere della musica.
«Cazzo» dico, chiudendo gli occhi e alzo il volume.

[...]

Appena le porte dell'ascensore si aprono, lui è subito lì davanti che sta parlando con i suoi due amici che stanno uscendo con i miei.

«Tae» lo chiamo. Si gira, sorpreso e i suoi occhi si illuminano per qualche istante mentre deglutisce.
«Kookie...hai bisogno di qualcosa?»

Mi tocco le punte dei capelli, con un sospiro.
«Sì» mormoro, stringendo il mio labbro tra i denti.
Sposto gli occhi sui suoi amici, poi aggrotto le sopracciglia. «Jin...e Jimin, giusto?» Chiedo e li indico.
«Già, ma noi chi chiamamo Yoongi e Namjoon.»

Fa spallucce, annuendo.

«Aspettami nel mio ufficio» dice, indicando la porta.
Gli rivolgo un'occhiata, «non metterci troppo.»

Entro nel suo ufficio e chiudo la porta. Passo le dita sulla sua scrivania, con un sospiro.
Guardo la foto che lo ritrae insieme a sua sorella e la riappoggio.

La sua sigaretta sta ancora fumando nel posacenere, quindi è probabile che non ha avuto il tempo di finirla perché l'hanno chiamato improvvisamente.
Dio, quanto gli saranno girate le palle.

La vista da quest'ufficio, è incredibile.

«Che cosa stai facendo?»
Mi lecco le labbra, girandomi verso di lui.
«Perché sei qui?»

Si siede alla scrivania, portandosi la sigaretta tra le labbra poi storce il naso visto che si è quasi consumata.
«Ti dispiace?» Gli chiedo, con gli occhi assottigliati.

«No» risponde, buttando fuori il fumo che colpisce il mio viso. «Lo immaginavo.»
Mi sfioro i fianchi e raggiungo il bottone dei miei jeans, lo slaccio e lentamente abbasso la cerniera.
Si lecca le labbra, osservando i miei slip e poi torna su di me.
«Che ti è successo? Ti sei incantato?»

Mi giro, muovo il fondoschiena e in modo lento, sensuale, come solo uno spogliarellista saprebbe fare, mi abbasso i jeans

«Porca puttana» sospira.

STRIP 2 | Deeper-Darker Where stories live. Discover now