•23 - Specchio.

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«D'accordo» dico, per poi prendere un respiro profondo.
Entro nel café, sedendomi di fronte a lei.
«Ciao, sono contenta che tu sia venuto» mi dice, con un sorriso stampato sul volto.
Per qualche istante, la mia bocca è secca e non so cosa dirle ma poi do un colpo di tosse senza farle vedere quanto mi stia sentendo in colpa.
«Volevo dirti che mi dispiace di non averti parlato di...insomma lo sai.»

«Mamma - sospiro -, non devi chiedermi scusa. Sono io a doverti dire che mi dispiace.»
I suoi occhi si aprono di più, sorpresi e poi deglutisce. «Kookie, credevo che fossi arrabbiato con me.»
«Sì, lo ero...anche tanto ma poi, sia Taehyung che Sihyeon, mi hanno fatto capire che forse quello in torto ero io e che tu volevi solo proteggermi.»
«Sihyeon? Chi è Sihyeon?»
«La madre di Tae» rispondo, leggermente agitato. «Ah...quindi conosci sua madre.»

Mescolo il cappuccino al cacao, mentre lei zucchera il suo the.
La situazione è tesa, forse perché non si aspettava che conoscessi Kim Sihyeon.
«È una brava persona» le dico subito, «non è come l'uomo di merda che ha sposato.»

Il suo sguardo non è convinto, ma posso anche capirla. «Dico sul serio, mamma» le sorrido.
«Ti credo, Kookie.»

«Ehi, ho trovato la chitarra di tuo padre.»
La guardo subito, con gli occhi che brillano e lei sorride alla mia reazione. «Quando eri piccolo, adoravi suonarla.»
«Dov'era?»
«Tra tutte le cose da buttare, ma ho pensato che volessi tenerla» spiega, facendo spallucce.
«Infatti.»
«Se la vuoi, puoi tenerla tu.»
«Dici sul serio?!» Esclamo. «Io non me ne faccio niente, tantomeno i tuoi fratelli. Sei tu quello sposato con la musica.»

Lei ha ragione. Fin da bambino, quella chitarra mi ha sempre dato tanto e mi ha fatto sognare molto.
Volevo diventare un cantante...è stupido, adesso, visto che sono finito ad essere uno spogliarellista ma ammetto, che da qualche parte, nel profondo del mio cuore, quel sogno esiste ancora.

«La voglio» dico, con gli occhi lucidi.

Avevo dimenticato quella chitarra, dopo la morte di mio padre e tutto il casino che ne ha conseguito.
Adesso, però, sento che è arrivato il momento di tornare a pizzicare quelle corde.

[...]

«Andiamo, non deludermi» dico, mentre cerco di accordare la chitarra, seduto sul divano di casa mia a gambe incrociate.
È rimasta ferma per anni, probabilmente ha bisogno di fare un rodaggio.
Afferro il plettro, prendendo un respiro profondo e pizzico le corde.
Sorrido, «brava.»

Mio padre era un impiegato del governo, ma avrebbe sempre voluto seguire la strada dell'accademia di musica che aveva lasciato per me.
Quando mia madre è rimasta incinta di me, erano tutti e due molto giovani, inesperti, insicuri e lui ha preferito starle vicino, lasciando il suo sogno.

«Ho lasciato il sogno di diventare un musicista, per un sogno ancora più grande: tu.»
Mi ha detto così, quando gli ho chiesto se si fosse pentito della sua scelta.
La sua risposta mi ha fatto tremare le gambe e battere forte il cuore.

Sento suonare al campanello, così mi asciugo alcune lacrime e mi alzo dal divano.
«Ciao» dico. Mi stampa un bacio sulle labbra e sorride, «ciao.»
«Hai pianto?»
«È solo commozione, non preoccuparti.»

Lo faccio entrare. «Commozione?»
Mi guarda, confuso e io faccio spallucce.
«Mi sono ricordato di una cosa che mi ha detto mio padre.»
«Che cosa ti ha detto?» Domanda, con un piccolo sorriso. «Che ero il suo sogno.»
Si lecca le labbra, annuendo. «Aveva ragione.»

Arrossisco, stringendo le labbra e guardando in basso.
«Da quando hai una chitarra?»
«Da quando mia madre l'ha ritrovata.»

Torno a sedermi sul divano e lui si siede accanto a me. «Non sapevo sapessi suonare.»
«Lo faccio da anni, probabilmente non lo ricordo nemmeno...»
Sospiro, «una volta era il mio sogno...fare il musicista intendo.»
«Non lo è più?»
Scuoto la testa, «adesso è impossibile.»

Alza il mio mento con due dita, «mi fai ascoltare una canzone?»

Lo guardo e ridacchio, «non sono più bravo come una volta.»
«Voglio conoscere anche questo tuo lato.»

Sospiro, prendendo la chitarra e il plettro.
«Questa l'avevo scritta con mio padre.»
Pizzico le corde, cercando di ricordarmi oltre alle note anche le parole della canzone e poi all'improvviso mi rendo conto che è ancora incisa nella mia testa.

Mirror, si chiama così. Diceva continuamente che quando mi guardava, si vedeva riflesso in me e io gli dicevo che sarei voluto diventare come lui.

Batto il piedo per terra, ripensando a quel giorno.

Le mie mani tremano, probabilmente lui ne è accorto visto che ci appoggia subito le sue.
«Perché non mi avevi mai detto che sai cantare così?»
Lo guardo, «perché non sono più lo stesso e adesso pensare a una chitarra mi fa solamente male.»
«Tu hai un dono. Un dono meraviglioso...ti prego, non sprecarlo.»
Sorrido, tirando su col naso. «Lo pensi sul serio?»
«Non avrei motivo di mentirti.»

Mi spoglio da anni, lo faccio per guadagnare ma non mi tolgo solo i vestiti.
Sto imparando a spogliarmi delle mie insicurezze, delle mie debolezze e di renderle qualcosa con cui posso guardarmi allo specchio senza scuotere la testa, in disaccordo con ciò che sono.

«Che cos'hai fatto oggi?» Gli chiedo, mentre mi alzo per raggiungere la cucina.
«Un servizio fotografico e un'intervista.»
Verso la spremuta d'arancia nei due bicchieri e mi lecco le labbra, «chissà quante donne ti stanno venerando da quelle foto.»
«Geloso?»
«E di cosa? Loro venerano te, ma tu veneri solo me» rispondo, facendo spallucce.

Bevo la spremuta, mentre ride e scuote la testa.
«Cazzo, bambolino, che modestia.»
Appoggia le braccia sul bordo del bancone.
«Non è vero? Ammettilo, tu sei totalmente pazzo di me.»
Avvicino il mio viso al suo, con un sorriso soddisfatto. «Già, è vero.»

«Devo riposarmi prima di andare al club.»
Faccio spallucce, mentre sfioro il palo della pole dance che è nel mezzo della mia sala.
«Fai come se fossi a casa tua.»

[...]

«Cazzo!» Sbotto, «sono in ritardo.»
Mi guarda con le braccia al petto, mentre è appoggiato al bordo del bancone.
«Vuoi un passaggio?»
Infilo la giacca, per poi annuire. «Solo se mi prometti di non entrare.»
Aggrotta le sopracciglia, «perché? Stasera sei sul palco, no?»

Mi gratto la fronte, «non è quello il problema.»
Ridacchia, appoggiando le mani sulle mie guance. «Allora qual'è?»
Mi mordo il labbro, guardandolo negli occhi.
«Kyungjae.»

«Che centra lo stronzo?» Sibila, in modo serio e forse sperando che non stia per dire, ciò a cui sta pensando.
«È i-il nuovo b-barman» balbetto, leggermente agitato. «Che cosa?!»
«Ma non mi ha mai parlato» dico subito.
«Sul serio?»
Stringo le labbra, «n-no...in verità ci prova ogni sera.»

Schiocca la lingua, con un'espressione piena di rabbia ma comunque cercando di controllarsi.
«E tu non hai pensato di dirmelo, vero?»
«Tae...» sospiro. «"Tae", cosa?» Domanda, scuotendo la testa.
«Amore, non arrabiarti. Sapevo come l'avresti presa...»

«Andiamo.»

Per tutto il tragitto da casa mia al club, è stato zitto con gli occhi fissi sulla strada.
Non posso credere che si sia veramente incazzato, perché non gli ho detto di Kyungjae.
Voglio dire, so che non gli va molto a genio soprattutto per le divergenze passate, ma ormai è un capitolo chiuso.

Non ha senso che sia geloso, sa bene che non voglio avere mai più niente a che fare con Kyungjae dopo quello che è successo, dopo quello che mi ha fatto.

In realtà, lui è terribilmente spaventato di perdermi.
Lo ripete in continuazione.

Scendo dall'auto e gli sorrido.
«Passi a prendermi quando finisco?» Gli chiedo.
«No» risponde, «vengo con te.»
«Tae» sbotto, stringendo i pugni. «Mi avevi promesso che non saresti entrato.»
«No, bambolino, io non ti ho promesso un bel niente.»

Roteo gli occhi, sbattendo la portiera dell'auto e con le braccia al petto raggiungo l'ingresso del club.
È veramente incredibile, dico sul serio.
Adesso devo anche preoccuparmi del fatto che non faccia a botte con Kyungaje.

Fantastico.

STRIP 2 | Deeper-Darker Where stories live. Discover now