Capitolo 29

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𝓦illow

Irrequieta, continuo a muovermi sul sedile in pelle scura, respirando con un certa difficoltà. La macchina va a una velocità costante e regolare, senza frenate brusche o girate che mi sballottano da una parte all'altra. Alla fine dovrò complimentarmi con l'autista privato di mio padre che, purtroppo, non è Oliver.

Pesco dalla tasca il mio telefono, accendendolo. Un pensiero mi fa sbuffare dalla frustrazione: da quando Alex ha preso il mio telefono, qualche ora fa, per poi ridarmelo un paio di minuti prima di uscire di casa, la curiosità stuzzica e predomina ogni mio senso.

Chissà cosa ha fatto al mio telefono... Avrà scoperto la persona che si nasconde dietro quel numero?

I miei pensieri, però, passano subito ad altro, senza darmi tregua: e chi ottiene la mia completa attenzione, questa volta, sono i miei genitori.

Cerco di pensare a un motivo valido sul perché mio padre ha richiamato i suoi due figli all'improvviso, spezzando quel filo di indifferenza che ho impostato con lui. L'indifferenza è una facciata che maschera il dispiacere che provo verso i miei genitori, sopratutto dopo le ultime vicende che mi hanno portata ad allontanarmi da loro, ancora di più di quanto già non lo fossi prima.

≪Dovresti smetterla di rinchiuderti nei tuoi pensieri, non ti fa bene.≫ Sento le iridi di mio fratello fisse sulla mia figura seduta in modo fin troppo rigido e, forse, anche regale.

Accarezzo il tessuto del mio cappotto color cammello che nasconde il maglioncino a collo alto bianco, abbinato a un paio di jeans stretti e scuri, insieme a degli stivaletti marrone chiaro con poco tacco.

Distolgo lo sguardo dalle strade che scorrono veloci al di fuori del finestrino oscurato.

≪Giusta osservazione, Sherlock.≫ Ribatto sarcastica, voltandomi verso di lui. Mio fratello mi osserva di rimando, mentre si slaccia un bottone del suo cappotto rivelando la camicia bianca.

≪Perché sei così...≫ James is blocca, prendendo profondi respiri. ≪Così fredda nei miei confronti?

Il dolore che traspare nella sua voce mi pizzica più volte il cuore, inducendomi a fare una piccola e impercettibile smorfia. Abbasso il capo non volendo osservare per qualche altro minuto di più i suoi occhi non più luminosi, ma spenti e sconsolati, mentre mi continuano a supplicare di fare qualche passo in avanti per poter intrecciare nuovamente le nostre mani e ritornare i fratelli di qualche settimana fa.

≪È per Einar? Per quello che è accaduto?≫ James non nasconde il disappunto, cercando di mantenere un tono calmo e pacifico. Si massaggia il mento, dove la barba scura continua a esserci.

Ignoro il suo sguardo, lanciando un'occhiata all'autista che sembra immerso nella guida, attento nel suo lavoro in modo eccellente. Titubante, apro la bocca, ma mio fratello mi blocca, allungandosi verso di me quanto la cintura glielo permette.

≪Sta' tranquilla, lui non aprirà bocca con nostro padre.≫

Sgrano gli occhi, intendendo al volo quello che James mi ha riferito: ha appena corrotto l'autista, dandogli anche una bella somma, solo per non farlo parlare; in questo momento non mi è mai sembrato così simile a Michael Clark.

Rabbrividisco, arretrando di qualche centimetro da lui.

≪Quindi?≫

Sbuffo rumorosamente, portando i capelli sciolti in delle morbide onde su una spalla.

≪Quindi sì. Sono arrabbiata, anzi furiosa con te per quello che accaduto a Einar. Io potevo aiutarlo.≫ Scandisco le ultime parole, lanciandogli un'occhiataccia.

Re-start, Ricomincio da teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora