3. Il cerbero a tre teste

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Come si trattasse di un lurido sacco pieno di immondizia, troppo scomodo per essere trasportato da una persona sola, i due sconosciuti si trascinarono dietro il corpo privo di coscienza della ragazza attraversando i vicoli più stretti e bui dei quartieri di Netville. Oramai si era fatto tardi, ma quella città così densamente popolata non dormiva proprio mai: anche a notte fonda, infatti, le strade del centro erano piene di gente.
Eva fu trascinata, con ben poca delicatezza, lungo una serie di vicoli ove le serrande dei negozi erano abbassate già da ore e decine di senzatetto si erano accatastati sotto ai portici nel tentativo di sfuggire all'umidità della notte. Furono in molti a vedere i due pazzi trascinare quel corpo apparentemente privo di vita, ma nessuno osò sollevare una domanda in merito; un'altra particolarità della città di Netville, è che tra le sue strade ognuno si faceva rigorosamente gli affari propri.
-Che cazzo... Mi sta venendo un crampo alla mano- borbottò l'individuo più adulto, che per qualche ragione indossava quello che pareva essere un camice da dottore. L'altro, totalmente indifferente, continuava ad avanzare con lo sguardo fisso davanti a se, come se fosse del tutto disinteressato a tutto ciò che lo circondava in quel momento.
Eva restò del tutto priva di conoscenza per un paio d'ore, prima che gli effetti del farmaco che le era stato iniettato nel collo iniziassero a dissolversi permettendole di recuperare pian piano conoscenza. Quando riuscì finalmente a sollevare le palpebre, pesanti come macigni, impiegò diversi secondi a ricordare che cosa le era capitato; tentò di mettere a fuoco l'ambiente attorno a lei, mentre realizzava di trovarsi seduta a terra con entrambe le mani legate tra loro dietro alla schiena. I suoi muscoli erano dolenti, la schiena quasi paralizzata in una posizione tremendamente scomoda, che le stava causando terribili fitte di dolore alle spalle e sulla nuca.
Prendendo una piccola boccata d'aria ed emettendo nel contempo un lieve lamento, la rossa riuscì finalmente a mettere a fuoco l'ambiente attorno a lei.
Si trovava all'interno di una stanza di dimensioni piuttosto ampie, quasi del tutto priva di mobilio; le pareti erano ricolme di chiazze scure generate dell'avanzamento dell'umidità e della muffa, che si insediavano nell'intonaco penetrando attraverso le molteplici falle sul tetto. Del killer incappucciato, nessuna traccia.
Una lunga vetrata, parzialmente infranta, permetteva di avere una visuale piuttosto ampia sul resto della città, dettaglio grazie al quale la ragazza poté supporre di trovarsi al terzo, o forse quarto piano di un edificio che sembrava essere abbandonato a sé stesso da molto tempo.
Con un ulteriore gemito Eva riuscì a muovere le gambe fino a puntare le ginocchia a terra, in modo da riuscire ad alzarsi in piedi; i frammenti di mattoni e sporcizia presenti sul pavimento si conficcarono nella sua carne, non appena si azzardò a fare quel movimento.
-Non ci credo- recitò una voce maschile, la cui provenienza non fu chiara poiché rimbalzò più volte tra le pareti di quella stanza vuota. -Gente, la tipa si è già svegliata-.
Quando lo sguardo della ragazza si sollevò, insicuro e tremante, si ritrovò a fissare quella che pareva essere una bizzarra maschera blu, totalmente priva di dettagli eccezion fatta per due buchi dalla forma circolare in corrispondenza degli occhi; non aveva la possibilità di scorgere il volto di chiunque si stesse nascondendo dietro a quel grottesco travestimento, anche se facendo scorrere molto rapidamente lo sguardo sul resto del corpo Eva poté dedurre che di trattasse di un ragazzo.
Un brivido percorse la sua schiena da cima a fondo, mentre tentava invano di comporre una frase di senso compiuto; lo sconosciuto dal viso coperto, invece, sembrava quasi spazientito dal fatto che lei non avesse ancora tentato di comunicare.
-Non dirmi che Smiley ti ha già tagliato la lingua- commentò lui, lanciandole uno sguardo di disprezzo che tuttavia lei non poté scorgere oltre ai fori della maschera.
Da dietro lo spigolo di una parete, che forse confinava con un lungo corridoio, spuntò poco dopo una figura che Eva era certa di aver già visto: si trattava dell'uomo con il camice da medico, lo stesso che le aveva conficcato la siringa nel collo. Aveva potuto scrutare la sua fisionomia solo per alcuni secondi prima di svenire, ma ciò era bastato a memorizzare ogni singolo dettaglio che aveva potuto cogliere.
Un sorriso beffardo.
Due occhi sottili dallo sguardo tagliente.
-Sei molto simpatico, Jack- commentò l'uomo, assestando una scherzosa spallata all'amico mentre gli passava davanti. -Ma ho tutt'altro in piano per questa dolce donzella-.
Eva sollevò la testa, puntando il suo sguardo dritto in quello dell'uomo che era stato ribattezzato Smiley; la sua mandibola tremava a causa del terrore e dell'adrenalina, era così disperata da non percepire affatto il dolore bruciante che tormentava i suoi polsi, costretti tra loro dalla presa di una pesante catena di ferro arrugginito. Quel tipo sembrava essere, per qualche ragione, piuttosto rispettato dall'alto e questo la portò a pensare che forse, se aveva davvero una singola possibilità di salvarsi la vita, avrebbe dovuto interagire proprio con lui.
-Ti prego, non farmi del male- mugolò, con un filo di fiato.
L'uomo in camice si chinò lievemente verso di lei, puntando entrambi i palmi delle mani sulle ginocchia; aveva una capigliatura corta, piuttosto disordinata, il cui colore lucente ricordava quello delle piume di un corvo; i suoi erano invece di un colore indefinito, così come erano indefinite le sensazioni che essi trasmettevano. Lo sguardo di Smiley era disinteressato, trasparente, annoiato.
-Posso... Posso pagarvi, se mi lasciate andare- continuò a balbettare Eva, nella speranza che sarebbe riuscita in qualche modo a convincere quel branco di svitati a lasciarla andare. Tuttavia, sentì una risata sguaiata provenire dalla maschera blu che l'altro aguzzino indossava. -Hai sentito, Doc?- commentò. -La ragazza vorrebbe pagarci-.
L'uomo restò in silenzio per una lunga manciata di secondi, osservando il corpo tremante della sua vittima con la fronte aggrottata, come se stesse davvero prendendo in considerazione la proposta che gli era stata fatta. Poco dopo, avanzando qualche passo un avanti, l'uomo afferrò bruscamente il mento di Eva costringendola, con una violenza assolutamente non necessaria, ad alzare lo sguardo su di lui. -Sentiamo, quanto potresti pagare per la tua libertà?- le chiese, con un tono di voce che lasciava trasparire un intenso disprezzo. -Non è che per caso appartieni a qualche famiglia di ricconi figli di puttana?-.
Eva deglutí, tentando invano di bagnare la gola che a causa del suo respiro affannato si era quasi del tutto prosciugata. Anche se non aveva a disposizione molto tempo per pensare, capí che forse sarebbe riuscita a convincere quei pazzi a non farle del male; con un po' di fortuna, nel giro di un giorno la sua famiglia avrebbe notato la sua assenza e avrebbe allertato anche le forze dell'ordine. Per quanto si trattasse di un piano strampalato, al momento non aveva nessun'altra carta da giocare.
-I miei non sono ricchi...- farfugliò abbassando lo sguardo, come per nascondere all'interlocutore i suoi occhi bugiardi. -Ma sono benestanti- continuò. -Sono... Sono sicura che vi pagheranno molto bene-.

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