17. Sudore e fogli di giornale

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Avvolta da un pugno così stretto da piegarne la circonferenza, la lattina di birra che Jeff si era procurato in uno dei tanti minimarket abusivi in città era già quasi del tutto vuota quando fu tornato a casa. Con l'altra mano, invece, reggeva un sacchetto di plastica sottile che lasciava intravedere le etichette di un paio di bottiglie di alcolici e vino rosso di marca scadente.
Appena prima di varcare il portone d'ingresso il ragazzo volse per qualche attimo il suo sguardo al cielo, scrutando un ammasso di nubi grige che minacciavano di riversare abbondante pioggia sui tetri palazzi di Netville; non che gli importasse molto, poiché aveva intenzione di trascorrere il resto della giornata al sicuro all'interno del suo nascondiglio.
Quando ebbe raggiunto la porta sverniciata corrispondente al suo appartamento infilò le chiavi in fretta, tanto da sbagliare la mira più volte; ancor prima di entrare udì i passi veloci di Eva che si allontanavano, fino a fermarsi sul fondo della stanza. Poco dopo incrociò il suo sguardo, e la soddisfazione che provò nel notificare che la sua vittima era ancora dove l'aveva lasciata era fin troppo leggibile nei suoi occhi; al contrario, Eva aveva le palpebre spalancate e le sue labbra tremavano lievemente, come se avesse voluto dire qualcosa ma fosse stata troppo intimorita per parlare.
-Come promesso, eccomi qua- esclamò il killer, con una marcata nota di sarcasmo. -Ti sono mancato, uh?-.
Lei non rispose, ma si limitò a stringere le mandibole espirando lentamente aria dal naso come cercasse di mantenere il controllo sulle sue emozioni. Ma era spaventata, e ogni centimetro del suo corpo lo lasciava facilmente intuire.
-Che c'è, ti hanno tagliato la lingua?-.
Con un gesto goffo e distratto poggiò il sacchetto di plastica sopra all'unico mobile ancora libero che era presente nella stanza, per poi prelevarne con cura il contenuto e disporlo sulla superficie ordinatamente. Aveva acquistato in totale sei bottiglie, ma era certo che non gli sarebbero bastate per molto; specialmente a causa dei recenti avvenimenti, aveva la netta impressione che la sua dipendenza dall'alcol stesse rapidamente peggiorando.
-Dovresti... Smetterla, con quella roba-.
Jeff trattenne il fiato, voltandosi istintivamente indietro per poi posare uno sguardo incredulo sul viso della ragazza. Lei tremava come una foglia, si vedeva che era davvero terrorizzata e che avrebbe soltanto voluto poter andarsene via, eppure aveva trovato il coraggio di pronunciare quella frase. Il moro strinse i pugni, non potendo fare a meno di chiedersi se si trattasse di semplice follia oppure se lei stesse cercando un modo per instaurare un rapporto con lui, sperando forse di scamparla; in entrambi i casi, Jeff odiava profondamente che qualcuno gli dicesse cosa avrebbe dovuto o non dovuto fare, specialmente se a farlo era una sgualdrina che si era portato a casa in attesa di trovare la voglia di farla a pezzi e far sparire il suo cadavere.
-Oh, ma davvero- commentò poi, afferrando una bottiglia di vodka liscia per evidenziare nel migliore dei modi quanto non gli importasse niente di quel suggerimento. -Chi sei, mia madre? Il mio medico di fiducia?- ghignò, per poi svitare nervosamente il tappo con i denti e trangugiare un abbondante sorso della bevanda.
Eva scosse lievemente il capo, restando in piedi con le spalle contro al muro e le ginocchia che tremavano così forte da reggere a stento il peso del suo corpo. -Dico solo...- balbettò, con un filo di voce. -Che quella roba ti sta avvelenando-.
Nell'udire quella frase, nella mente del moro echeggiò assordante il ricordo di ciò che Smiley gli aveva detto poco prima, con quel suo tono profondo e severo; qualcuno aveva danneggiato il cadavere di quel ragazzino, mandando in fumo il loro affare e facendogli perdere una buona parte della fiducia che si era guadagnato nel suo rapporto lavorativo con l'uomo. Tuttavia, adesso una domanda si stava facendo strada tra le sue sinapsi e riguardava un argomento che fino ad allora si era sempre rifiutato di affrontare.
E se fosse stato proprio lui, a perdere il controllo per poi non ricordare di averlo fatto?
Se fosse stato davvero lui l'artefice di quelle gesta?
-...Fanculo- mormorò passandosi una mano sulla fronte, per poi bere un secondo abbondante sorso. Forse non gli importava affatto. Forse la sua testa era talmente incasinata tra gli omicidi, droga, crimini e la sua impulsività patologica che si stava abituando a non avere più il controllo, a guardare i giorni che passano credendo che invece tutto sia fermo e tuffarsi nell'abisso per poi risalire e accorgersi di trovarsi difronte a una spiaggia diversa.
-Fanculo, troia!- le gridò contro, poggiando con ferocia la bottiglia sul davanzale. Le parole pronunciate sa Smiley continuavano a ripetersi all'infinito nella sua mente, come a volergli suggerire che anche Eva in quel momento lo stava giudicando. Ma lei no, non ne aveva il diritto.
-Lo sai per quale cazzo di motivo ho salvato il tuo culo e non ti ho ancora sgozzata come un cane?- continuò, avvicinandosi alla ragazza sempre di più con aria palesemente minacciosa. -Non sei speciale, non sei fortunata. Quando mi sarò stancato di scoparti ti taglierò la gola e farò un dipinto sulla parete con il tuo cazzo di sangue!-.
Le labbra della ragazza si trinsero, come se fino a quel momento avesse sperato in una risposta migliore. Eva aveva gli occhi spenti, era stanca e il suo corpo pieno di lividi non la smetteva mai di tremare; eppure, come se si fosse progressivamente distaccata da quella realtà crudele e spietata, sembrava che continuasse a sperare che qualcosa da lì a poco sarebbe cambiato.
Abbassò il capo puntando gli occhi sul pavimento sporco sotto di sé, mentre il killer riprendeva a fare avanti e indietro per la stanza con una mano sulla fronte come se stesse cercando una via di fuga dal suo stesso appartamento. -Cazzo- lo sentì borbottare poco dopo, mentre si fermava con le suole delle scarpe sul tappeto e lo sguardo perso chissà dove. -Cazzo...- ripeté, abbassando il tono della voce.
Eva dovette far appello a tutto il suo coraggio per parlare ancora. -Cosa...Cosa ti prende?- mugolò.
Lui la guardò distratto, arricciando le labbra e intrecciando le braccia sul petto. -Jack è venuto fin qui a chiamarmi, ma io non gli ho mai rivelato a quale indirizzo abitassi- esclamò, visibilmente preoccupato e carico di nervosismo. -Che cazzo vogliono da me? Hanno iniziato anche a pedinarmi, adesso?-.
Quella domanda non ottenne mai una risposta, anche perché adesso Jeff aveva iniziato ad aprire furiosamente ogni cassetto che fosse presente nella stanza, frugando in mezzo alle cianfrusaglie come se stesse disperatamente cercando qualcosa. Si muoveva avanti e indietro come un pazzo, mentre la sua frustrazione continuava a salire in modo vertiginoso.
Eva lo osservò con sgomento e rassegnazione, fino a che non lo vide impugnare una pila di vecchi giornali ingialliti e un rotolo di nastro adesivo già iniziato.
-Mi stanno spiando, porca puttana- borbottava il killer, iniziando a posizionare i fogli di carta su tutte le finestre in modo da oscurarle completamente. -Chissà da quanto tempo lo stanno già facendo-.
Aveva le dita sudate, tanto che la carta vi rimaneva attaccata; altre vistose gocce di sudore, invece, scendevano giù dalla sua fronte e percorrevano il suo volto fino alle labbra.
-Di che parli?- domandò Eva, con un filo di voce.
Ma lui, arrampicato su una sedia con il nastro tra i denti, non le concesse alcuna risposta. Quel piccolo e fatiscente monolocale era da sempre stato la sua tana, il suo luogo sicuro, come fosse un universo a parte del tutto scollegato con il resto del mondo; ma adesso sentiva che quel luogo sacro era stato violato.
Non appena fu riuscito ad incollare la carta di giornale su ogni centimetro di vetro che si affacciava verso l'esterno, il ragazzo emise in lungo sospiro di sollievo e si voltò lentamente indietro, dove Eva stava ancora osservando in silenzio ogni suo movimento.
-Qualcuno per caso ti ha vista?- le domandò. Era certo che così non fosse, anche perché si trovavano al secondo piano e difficilmente qualcuno avrebbe potuto scorgere la sua presenza oltre la vetrata; tuttavia, in quel momento, aveva bisogno di conferme che potessero placare la sua ansia.
E lei, fortunatamente, scosse il capo con decisione. -No...Nessuno, stai tranquillo-.

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