12. Caotica melodia di morte

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Con le mani affondate nella larga tasca della sua felpa bianca, ormai tanto vecchia quanto ricolma di macchie e strappi, Jeff osservava la sua vittima come un predatore nascosto tra le sterpaglie.
Il buio di una notte senza stelle aveva inghiottito la città, rendendo le strade di Netville un po' meno terrificanti e celandone i dettagli.
Il giovane killer, con la schiena premuta contro alle mura ricolme di crepe di un palazzo che si affacciava sulla periferia, osservava i movimenti nervosi di quello che pareva essere un ragazzino di undici anni: egli indossava una tuta blu sulla quale aveva attaccato la spilla di una qualche squadra di calcio e il suo leggermente tirato per via della sua irrequietezza, mostrava i tratti somatici riconducibili a un individuo dalla spensieratezza quasi commovente.
Jeff trattenne io fiato qualche attimo.
I suoi occhi, di un azzurro incredibilmente chiaro, erano puntati dritti sulla preda dalla quale neppure per un attimo osava distogliere l'attenzione.
Ben nascosto nella tasca custodiva un coltello, lo stesso che utilizzava ogni singola volta che gli veniva commissionato un omicidio di quel tipo; la sua mano premuta sul manico, ora lievemente sudata, sembrava quasi più impaziente di lui.
Infastidito da una folata di vento che lo fece rabbrividire il moro iniziò cautamente ad avvicinarsi, mantenendosi sempre in una angolazione tale da celare almeno parzialmente la sua presenza. Si passò una mano sulla bocca, ispirando un poco d'aria dal naso; doveva fare fuori quel ragazzino, e anche alla svelta. Aveva promesso a Smiley che gli avrebbe procurato un corpo già da cinque o sei giorni, ma le sue condizioni di instabilità mentale gli avevano impedito più volte di portare a termine quel compito; adesso, però, aveva occasione di procurarsi il corpo e consegnarglielo, in modo che l'altro avrebbe smesso di fargli notare quanto fosse pessimo nel mantenere le promesse.
Non aveva idea di cosa il dottore ne avrebbe fatto di quel poveretto, ma la cosa non gli importava gran che.
Procedendo a piccoli passi riuscì ad avvicinarsi alla vittima, quanto bastava per scorgere il suo viso preoccupato, illuminato dalla luce del suo smartphone. Si trattava di una buona occasione. Non era in corso nessuna chiamata e, a giudicare dai movimenti frenetici delle sua dita sul vetro, pareva stesse massaggiando con qualcuno; la contrapposizione tra lo schermo luminoso che stava fissando e l'oscurità attorno a sé, tuttavia, avrebbero reso il ragazzino ancora più incapace di localizzare il suo aggressore prima che questo lo avesse raggiunto e accoltellato.
Jeff era un abile e spietato assassino, ma non possedeva affatto il dono della pazienza; attese solo qualche attimo e poi, divorato dal desiderio bruciante di impadronirsi di quella povera anima e spezzarla come un ramoscello sotto alla scarpa, si lanciò su di lui raggiungendolo in un solo attimo.
La vittima spalancò le palpebre terrorizzata, ma non ebbe neanche il tempo di urlare; la lama del killer raggiunse la sua gola e la penetrò come fosse fatta di burro, dando vita a una terrificante fontana di sangue caldissimo che iniziò a imbrattare i suoi vestiti. Gli occhi terrorizzati e agonizzanti del ragazzino raggiunsero quelli dell'altro, freddi e distaccati come quelli di un robot, mentre il coltello continuava a sprofondare nella sua carne.
Il moro sorrise, estraendo la lama con un movimento rapido e deciso.
Il poveretto, premendo le mani sulla sua gola nel vano tentativo di fermare il sanguinamento, si spense poco dopo.
-Fin troppo facile, fanculo- commentò irritato l'altro, osservando con un velo di disprezzo il cadavere che adesso giaceva ai suoi piedi in una pozza di sangue. Era morto senza lottare, senza gridare, senza piangere. E questo, a Jeff, non piaceva affatto.
Osservando con un insano interesse il liquido ematico che stava scorrendo sul marciapiede, seguendo le fughe tra le mattonelle, il killer dai capelli neri pensò che avrebbe dovuto sbrigarsi a consegnare quel corpo se voleva chiudere la trattativa con Smiley; solo un attimo dopo, tuttavia, la sua attenzione fu catturata dallo schermo ancora illuminato del cellulare abbandonato a terra, che ancora non si era bloccato. Per un motivo non precisato il ragazzo si chinò per afferrarlo, e ciò che si trovò davanti agli occhi fu una conversazione con un contatto che era stato denominato "mamma".

-È tardi, dove sei?-.

-Aspetto Maveric e torno. Cinque minuti-.

-No, vieni adesso, è tardi e ti stiamo aspettando per cena-.

-Solo 5 minuti mamma-.

-Vieni a casa e basta. È pericoloso a quest'ora stare in giro-.

-Va bene... Ma non v...-.

L'ultimo messaggio di testo non era ancora stato compilato del tutto. Probabilmente, la donna al di là dello schermo stava ancora aspettando di ricevere una risposta.
Jeff fece una piccola smorfia, dando una rapida occhiata ai contenuti all'interno della memoria giusto per fare sfogo alla curiosità. Tra diverse foto di animali, amici di scuola e videogiochi, trovò una cartella all'interno della quale il ragazzino conservava la musica che era abituato ad ascoltare dalle cuffiette.
Selezionò un brano a caso, il primo sul quale cadde il suo sguardo, e alzò al massimo il volume degli altoparlanti, mentre di apprestava a recuperare il corpo che giaceva a terra.
E così, la melodia stonata e squillante di una canzone rap fece da sottofondo al quel momento tanto grottesco quanto infelice, in cui il killer frugava nelle tasche del ragazzino per prelevare quei pochi contanti che possedeva, per poi caricarsi il corpo in spalla e addentrarsi tra le mura di un palazzo in rovina. A quella tarda ora pochi si accorsero della sua presenza, e coloro che lo videro di sfuggita si guardarono bene dal farsi gli affari propri.
Jeff aveva quasi completato il suo lavoro, ma una sensazione insolita iniziava a farsi spazio tra le sue viscere: per un motivo che lui stesso non riusciva in alcun modo a spiegarsi sentiva il desiderio di tornare a casa prima possibile, di tornare da Eva. Non aveva ancora pensato a cosa volesse farne di lei, ma qualcosa gli suggeriva che non avrebbe dovuto sbarazzarsene subito come era abituato a fare con ogni sua vittima; fu molto strano per lui trovarsi a ragionare su questo, poiché mai prima d'ora aveva anche solo valutato l'idea di non commettere un omicidio, specialmente quando le condizioni erano così favorevoli.
Celate da un'oscurità inquietante, le vie di Netville quella sera sembravano ancora più cupe e nostalgiche del solito; il killer camminava in silenzio, ma stava seguendo un percorso molto preciso che, nonostante l'effetto delle sostanze che aveva sniffato, riusciva a proiettare nella sua mente. Quella città era la sua casa, e come tale ne conosceva anche gli angoli più nascosti e remoti. Proprio per questo riusciva a muoversi nell'ombra con così tanta sicurezza, o a fuggire da situazioni pericolose scomparendo nel nulla pur spostandosi solo di pochi isolati.
Nonostante questo, la vita per lui non era facile affatto: lo si capiva bene dalle scarpe usurate che indossava, dalle profonde occhiaie sul suo viso o dalle cicatrici che portava sul corpo, testimonianze di ogni scontro brutale al quale aveva dovuto suo malgrado prendere parte.
Jeff era un pazzo, un folle, un assassino, ma non uno stupido; proprio per questo, posizionando il cadavere del ragazzino nel luogo che aveva concordato giorni addietro con Smiley, si disse che per il momento avrebbe dovuto tenere un profilo più basso e dedicarsi ad attività meno rischiose; anche se non sapeva il perché, sentiva che la morte di quell'individuo avrebbe creato un po' di scompiglio in città.

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