32. Il peso dell'assenza

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Vuoto dentro come una bambola di pezza, Jeff si fermò diversi minuti davanti al portone di casa sua, concedendosi anche il tempo di accendersi una sigaretta: aveva bisogno di coraggio per entrare all'interno e verificare ciò che Smiley e Jack avevano insinuato poco prima, coraggio che il quel frangente sentiva di non possedere affatto.
Aspirò una manciata di fumo tra le guance e lo trattenne prima di rigettarlo.
Il suo rapporto con Eva era stato dannatamente travagliato, una grottesca storia d'amore fatta di abusi e violenza, ma dal suo punto di vista pur sempre una storia d'amore. Se avesse aperto quella porta solo per scoprire che lei davvero non era mai esistita non sapeva in che modo avrebbe potuto reagire.
Aspirando il tabacco giù per i polmoni concesse ai suoi muscoli di rilassarsi, nonostante avesse molto freddo e non riuscisse a smettere di tremare. "Non ha senso" continuava a ripetere all'infinito nella sua testa, e lo fece fino a che la sigaretta non si fu esaurita; soltanto allora, gettando il mozzicone a terra sul pianerottolo di quello sciatto palazzo, trovò il coraggio di affrontare quella piccola ma gigantesca impresa.
Inserì la chiave con il fiato sospeso e la fece roteare all'interno della serratura, per poi spingere energicamente il portone che si spalancò davanti ai suoi occhi. Ebbe l'impressione che in quel momento il suo cuore si fosse fermato saltando qualche battito, così come i polmoni si erano immobilizzati: si trovò dinnanzi a un appartamento vuoto, al cui interno non v'era nessuno.
Senza perdersi d'animo il killer fece scorrere nervosamente lo sguardo sulle pile di lattine vuote disseminate sul pavimento, sui cocci di vetro della finestra che aveva rotto giorni addietro senza ricordarne il motivo, infine sui mobili disposti in modo disordinato e sulle macchie sporche che troneggiavano sullo sportello bianco del frigorifero; ma di Eva nessuna traccia.
Stordito avanzò di qualche passo e richiuse accuratamente la porta dietro alla sua schiena in modo da tagliare il mondo fuori da quella stanza, poi riprese a cercare il profilo della ragazza mentre iniziava ad annaspare; non vi era alcun segno di effrazione, non sarebbe mai potuta uscire da quell'appartamento senza rompere qualcosa.
Ispezionò con cura ogni centimetro di quello spazio, cercò persino nel bagno e sotto al divano, ma non riuscì a trovare un singolo indizio del fatto che Eva potesse trovarsi ancora lì, o che ci fosse mai stata per davvero; una sensazione opprimente iniziò a farsi strada rapidamente nel suo petto, come se tutto ad un tratto sentisse che le parole dei suoi amici avessero guadagnato un senso tutto nuovo. Per la prima volta nella sua testa si accese un pensiero che mai fino ad allora aveva osato anche solo ipotizzare: forse era vero, forse lei non era mai esistita.
E così si ritrovò d'un tratto solo, confinato in una gabbia di quattro mura e circondato soltanto dell'immondizia che aveva accumulato.
"Non ha senso".
Colto da un improvviso scatto di incontrollabile rabbia Jeff sferrò un violento pugno contro alla parete, gesto che ripeté subito dopo per tre volte fino a che la pelle sulle nocche non iniziò a lacerarsi, causando la fuoriuscita di un po' di sangue.
-Eva!- iniziò a gridare a pieni polmoni, portandosi una mano sul volto come se volesse impedirsi di riscontrare ancora una volta la sua assenza.
L'aveva rapita, torturata, violentata ripetutamente; ma in qualche modo, nel suo modo folle e malsano, l'aveva anche amata e non poteva accettare che la realtà fosse qualcosa di così lontano da ciò che aveva creduto.
Dopo aver ripetutamente percorso l'interno appartamento avanti e indietro il ragazzo finalmente si fermò, concedendosi un attimo di tregua per riprendere fiato e tentare di placare il sorgere di un violento attacco di panico; arrivò persino ad ipotizzare che quello fosse soltanto un brutto sogno, ma la sua vividezza e la ricchezza di dettagli rendevano quell'ipotoesi sempre più priva di fondamento.
Tentò di regolarizzare il respiro, imponendosi di recuperare il controllo.
-Eva! Dove sei, cazzo!- gridò ancora.
Per un attimo riuscì a recuperare un po' di lucidità mentale e riuscì a mettersi seduto, puntando i gomiti sulle ginocchia e spostando lo sguardo a terra. La sua folta chioma di capelli neri adesso scivolava leggiadra giù dalle spalle adagiandosi sul petto.
Ma in quel silenzio Jeff provò il dolore più grande che avesse mai patito.
In vita sua non aveva mai sofferto la solitudine, aveva magistralmente oppresso ogni sua emozione fino a diventare qualcosa di troppo simile a una bestia; tuttavia, il silenzio innaturale che era calato in quella maledetta casa era diventato tutto d'un tratto un peso troppo grande per le sue spalle. Proprio come prima di incontrare Eva su ritrovò completamente solo in balia della sua follia, isolato dal resto del mondo e incompreso da tutti quanti.
"Non ha senso" ripeté ancora nella sua mente.
Il dolore in quel momento si fece assolutamente insopportabile e così il killer sollevò il capo e iniziò a frugare caoticamente tra i cuscini del divano, con entrambe le mani scosse da violenti e ckntinui tremori, cercando dispetatamente una delle puccole buste di coca che aveva nascosto lì giorni addietro.
Aveva bisogno di farsi, e anche subito.
Ma non appena riuscì a trovare ciò che stava cercando, proprio come per incanto, una voce dolce e rassicurante si espanse in quello spazio angusto.
-Jeff... Ma che fai?-.
Annaspando il ragazzo si voltò indietro di scatto lasciando cadere a terra la tanto desiderata dose; Eva adesso era in piedi davanti a lui e il suo volto, che pareva quasi illuminato in modo differente rispetto al resto delle cose presenti nella stanza, esprimeva una certa preoccupazione nei suoi riguardi.
Stordito il killer restò ad osservare per diverse manciate di secondi senza dire una parola, come se stesse cercando di capire se ciò che stava vedendo fosse frutto della droga. Peccato che non l'avesse ancora neanche estratta dal suo contenitore.
La ragazza sorrise, come a volerlo rassicurare. -Perché mi guardi in quel modo?-.
Lui si sentì estremamente rasserenato dalla sua presenza, ma adesso che conosceva la verità non poteva più concedersi di lasciarsi andare in quel modo; avrebbe voluto lanciarsi tra le sue braccia, dirle quanto avesse avuto paura di perderla, ma che senso avrebbe mai avuto sapendo che lei era soltanto una crudele proiezione della sua mente malata?
Uno scherzo di pessimo gusto.
Un'allucinazione alla quale si era affezionato troppo.
-Eva...- borbottò, senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso. -Tu... Tu non sei reale, vero?-.
Mente pronunciava quelle parole sentì un nodo stringersi nella sua gola fin quasi a soffocarlo; non era sicuro che sarebbe mai riuscito a pronunciarle per davvero. Ma nell'udirle il volto delicato di Eva cambiò la sua espressione, facendosi decisamente più desolato e consapevole; le sue labbra, tuttavia, non si schiusero.
-Eva, rispondimi- insistette Jeff, guardandola dritta negli occhi; aveva bisogno di sentirglielo dire, anche se sapeva che quella domanda la stava ponendo probabilmente a sé stesso.
Perché ormai non vi era più distinzione tra i loro due corpi.
Dopo un silenzio che parve durare un'eternità la ragazza finalmente annuì con enorme rammarico, chinando la testa di pochi centimetri. I suoi occhi sembravano lucidi, sbatteva le palpebre più velocemente del normale.
-No Jeff, non sono reale-.
Il moro fece un passo indietro, colto da un improvviso giramento di testa che lo fece barcollare; anche se le aveva già pensato più volte nella sua mente, sentirle pronunciare quelle parole fu come venir trapassato da un proiettile.
Scosse il capo. -Ma questo...non ha senso- disse, passandosi una mano sulla fronte sudata. -Come puoi non esistere? Sei qui, adesso!-.
Eva sorrise ancora, questa volta con una dolcezza quasi innaturale. Non disse nulla ma l'espressione sul suo viso, velatamente divertita e allo stesso tempo carica di rammarico, sembrava volergli dire "ne sei sicuro?".

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