18. Contatto incostante

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La percezione che Jeff aveva della vita e di tutto ciò che lo circondava poteva essere paragonata all'immagine proiettata dallo schermo di una vecchia tv, che a causa dello scarso segnale alternava immagini mal definite a uno sfondo completamente nero. Ogni avvenimento era allo stesso vicino e lontano da lui, reale e irreale, come se si trovasse seduto su una giostra al luna park; e le relazioni con le persone, in particolar modo, erano soggette a quel caos che annebbiava costantemente i suoi pensieri: era abbastanza sicuro che Eva gli sarebbe rimasta fedele pur di aver salva la pelle, ma sentiva di non poter più contare su Smiley e Jack, che adesso percepiva come entità ostili.
Facendo qualche passo indietro si allontanò dalle vetrate, adesso interamente ricoperte di fogli di giornale attaccati in modo disordinato l'uno sull'altro, per poi recuperare una bottiglia di vodka liscia e stapparne via il tappo nervosamente. Eva lo fissava in silenzio, anche se il suo sguardo lasciava intuire che avrebbe voluto dire qualcosa, se solo non fosse stata paralizzata dal timore di accendere nuovamente in lui della violenza repressa.
Suo malgrado aveva iniziato a capirlo. Comprendere in quale modo dovesse comportarsi per tenere quel mostro a bada le consentiva di avere qualche chance in più di uscire viva da quell'inferno.
-..Fanculo a tutti- mugolò il moro, poggiando la schiena contro alla parete e sollevando il mento, per poi lasciar scendere giù dalla gola una abbondante sorsata di vodka. Il tappo a vite gli sfuggì di mano finendo sul pavimento e lui, quasi come se fosse troppo demoralizzato per chinarsi e recuperarlo, si lasciò scivolare sulla parete fino a sedersi a terra. Il suo sguardo vuoto era immobile, fisso sulle mattonelle scheggiate ma totalmente assente da ciò che lo circondava.
Come quello si un fantasma.
-Fanculo- ripeté, a bassa voce. Sollevò la bottiglia e buttò giu il successivo grande sorso, che fu seguito da molti altri. E mano a mano che la bottiglia stretta nella sua mano si faceva più leggera, allo stesso modo i suoi pensieri si assopivano e il suo corpo veniva pervaso da una rassicurante sensazione di rilassatezza.
Eva lo osservò a lungo, chino su se stesso e con il volto parzialmente oscurato dalle ciocche di capelli neri che pendevano disordinati dalla sua fronte; ora che non riusciva a scorgere la cicatrice sul suo volto, la ragazza pensò che forse si sentiva meno spaventata da lui. Difficile dire se ciò fosse dovuto alla forza dell'abitudine.
Nel silenzio di quel misero appartamento, composto da pochi metri quadri di disordine e sporcizia accumulata in chissà quanti mesi, Jeff continuò a bere senza più dire una singola parola; aveva bisogno di cacciare via tutte le preoccupazioni che lo stavano facendo impazzire, doveva assolutamente lasciarsi stordire dall'alcol e sollevarsi da quei pensieri prima che riuscissero a divorarlo completamente.
Continuò a sorseggiare dalla bottiglia fino a quando il suo stomaco non diede i primi segni di cedimento: una forte nausea lo assalì, aveva l'impressione che le sue budella si stessero attorcigliando tra loro. Con un pesante sospiro alzò lo sguardo e si rese conto, con rabbia e stupore, che la prigioniera si era alzata in piedi e si stava dirigendo lentamente verso di lui.
-Merda...-.
Poggiò la vodka a terra, mentre si asciugava le labbra sulla manica della felpa; doveva assolutamente trovare la forza di alzarsi e andare a vomitare nella tazza del water. Puntò i palmi a terra e sollevò la testa, incrociando nuovamente lo sguardo di lei.
-..Stai...Stai male?- mugolò Eva, evidentemente incerta sul da farsi. Avrebbe voluto aiutarlo, ma allo stesso tempo temeva che se lo avesse fatto lui avrebbe avuto una reazione violenta. Aveva imparato a conoscerlo abbastanza bene da sapere quanto fosse completamente imprevedibile, oltre a non avere nessuno scrupolo.
Come previsto, giusto un attimo dopo, il moro le rivolse uno sguardo terrorizzante. -Stammi lontana, vattene- ghignò, mentre tentava di alzarsi in piedi. Lo scarso equilibrio dovuto al suo stato mentale, tuttavia, glielo impediva.
-Ti aiuto ad alzarti, ok?- insistette lei, allungando timidamente una mano verso il moro. Forse in cuor suo sperava che se lo avesse assistito in quel momento critico, magari poi lui avrebbe deciso di lasciarla andare.
Ma il killer, testardo com'era, scosse nervosamente la testa e tentò ancora di issarsi sulle sue gambe in modo autonomo. -Non mi toccare- esclamò ancora, aggrappandosi alla parete con ogni sua forza. Dopo un paio di tentativi riuscì finalmente a raggiungere la posizione eretta, seppur la mantenne a stento; fece il primo passo verso la sua destinazione, calciando per errore la bottiglia ormai mezza vuota che aveva riposto al suolo. -Vaffanculo..Vaffanculo!- borbottò, serrando il mani in due pugni stretti.
Neanche si accorse che, a quel punto, Eva si era posizionata al suo fianco.
Riuscì a fare qualche passo verso il centro della stanza nonostante il suo equilibrio fosse estremamente precario, e proseguì lentamente verso il bagno fino a che un improvviso conato di vomito non lo costrinse a inarcare la schiena e portare le mani alla bocca. Con gli occhi umidi inghiottì di nuovo quel poco liquido alcolico che era risalito dalla sua gola ma subito dopo, un conato decisamente più violento del primo, lo costrinse a rigettare tutto a terra.
Nonostante la sua condizione riuscì a percepire le mani di Eva, ancora rigorosamente legate tra loro, che si erano posate sulle sue spalle e le spingevano verso l'alto, in modo da evitare che lui finisse a terra con la faccia sul suo stesso vomito; solo qualche attimo dopo, però, nel tentativo di voltarsi il ragazzo sentì il suo corpo venire abbandonato da ogni forza che fino a un attimo prima lo animava. Prima di rendersi conto di cosa stava accadendo si ritrovò a terra, in procinto di perdere i sensi.
Le braccia di Eva lo scuotevano con forza, come se stesse cercando in tutti i modi di impedirgli di svenire. Nonostante questo, le palpebre del ragazzo divennero all'improvviso così pesanti che gli fu impossibile evitare di serrarle; i suoi pensieri divennero un flusso incostante di ricordi e sensazioni che si mischiavano tra loro perdendo del tutto il significato, mentre il ragazzo veniva catturato da un sonno profondo dal quale non si sarebbe risvegliato molto presto.
Fu la ragazza a prendersi cura di lui durante quello stato di totale incoscienza, che durò per ore intere; con grande fatica la poveretta trascinò il suo corpo assopito lontano dalla pozza di vomito che giaceva sul pavimento, per poi procurarsi una coperta da adagiare sul suo torso in modo da proteggerlo dal freddo. Non aveva nessun motivo valido per prendersi cura del suo carceriere in quel modo, eppure il suo istinto continuava a suggerirle che avrebbe dovuto farlo e basta.
I minuti divennero ore.
La luce dei raggi del sole, lentamente, scendeva lungo il profilo delle vetrate oscurate dalla carta di giornale fino a venite sostituita pian piano dalle grinfie delle tenebre.
Riaprire gli occhi dopo tutto quel tempo fu per Jeff come risvegliarsi da un incubo così vivido da sembrare reale, per poi ritrovarsi catapultato nella realtà e desiderare ardentemente di tornare indietro. Per prima cosa sollevò lentamente le braccia, stropicciandosi gli occhi con un gesto distratto mentre tentava invano di placare la sensazione di secchezza nella sua gola deglutendo saliva; e quando sollevò lo sguardo, giusto un paio di secondi dopo, si accorse di avere ancora lo sguardo della ragazza puntato addosso.
-Stai bene?-.

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