14. Sotto un cielo di plastica

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Una delle principali motivazioni per cui Jeff era diventato un assassino a sangue freddo, quasi del tutto incapace di provare empatia o sensi di colpa, era il suo particolare stato mentale che lo rendeva totalmente distaccato da tutto ciò che lo circondava. Viveva dietro a uno spesso vetro che lo separava dal resto del mondo, con il quale quasi mai riusciva a stabilire un vero e proprio contatto; attraverso quel vetro ogni cosa perdeva il suo senso, nessuna musica poteva scaturire in lui dei sentimenti, la vita delle altre persone era soltanto un dettaglio superfluo al quale prestava poca attenzione. Era intrappolato in una condizione di eterno stallo, in cui fare tutto o non fare niente lo conducevano sempre ai medesimi risultati; per questo, con il passare del tempo, era diventato dipendente da qualsiasi sostanza stupefacente riuscisse a reperire in città, e aveva sviluppato una rabbia sempre crescente che lo portava a trovare estremamente soddisfacente l'atto di impadronirsi della vita altrui.
Con Eva, però, c'era qualcosa di diverso.
Attraverso quel vetro spesso che lo separava dal mondo, la figura di quella ragazza impaurita dai capelli rossi sembrava molto più vicina delle altre, al punto che talvolta aveva l'impressione che lei fosse in grado di oltrepassare quella barriera invisibile.
Con un'espressione di falso disinteresse il killer si chinò, poi lentamente liberò le caviglie della vittima dalla catena che le imprigionava. -Ottima scelta- commentò poi, allargando un sorriso appena percettibile sulle labbra. -Anch'io avrei dato la stessa risposta-.
Eva trattenne il fiato, quasi intimorita dal fatto di poter nuovamente muovere le gambe dopo quelle lunghe ore di agonia; in quel momento buona parte della tensione dentro di lei si sciolse, anche perché aveva avuto il dubbio che lui in realtà le stesse lasciando decidere quali arti le avrebbe reciso per primi. Forse, pensò dentro di sé, non intendeva ucciderla per davvero. Almeno, non per il momento.
Sforzandosi di mostrare un sorriso, che comparve sulle sue labbra tese e screpolate, la ragazza rivolse uno sguardo di gratitudine al suo aguzzino. -Ti...Ringrazio- mormorò.
Subito dopo Jeff le voltò le spalle, senza più pronunciare una singola parola; si diresse verso il piccolo frigo che aveva riposto sul bancone della cucina e lo aprì alla ricerca di qualcosa da bere, trovando tuttavia soltanto una misera lattina di birra con il bordo schiacciato. La aprì con un gesto estremamente nervoso e poi, sollevando la testa verso il soffitto, lasciò che il liquido freddo scendesse giù dalla sua gola; prese fiato una sola volta, prima di svuotarla del tutto e lanciare il contenitore vuoto a terra, ove divenne irriconoscibile tra le pile di spazzatura che aveva abbandonato lì nei giorni precedenti. Per un motivo che non riusciva a comprendere si sentiva fortemente destabilizzato, aveva l'impressione che ci fosse qualcosa che non andava; neanche l'alcool, in quel momento, riuscì a placare quei pensieri che iniziavano ad ammassarsi tra loro all'interno della sua mente.
Pensò che forse avrebbe dovuto mangiare qualcosa. Sotto lo sguardo preoccupato di Eva, che osservava ogni suo movimento dall'altro dato della stanza, il moro puntò i palmi delle mani sul bordo del lavandino e strinse le palpebre per qualche secondo, tentando di riprendere il controllo.
-Fanculo- borbottò tra se e se, emettendo un lungo e tremante sospiro. La sua mente lo condusse al volto terrorizzato del bambino che aveva brutalmente ucciso poche ore prima, e ai messaggi di testo che si era scambiato con la madre poco prima di emettere il suo ultimo sospiro; pensare al suo sangue lo faceva sentire eccitato e disperato allo stesso tempo, come se una parte di lui stesse in qualche modo lottando contro i suoi istinti più sadici e brutali. Ma aveva un conto in sospeso con Smiley, il cadavere del ragazzino rientrava tra gli accordi.
Stringendo le labbra, Jeff si voltò indietro in modo improvviso, posando uno sguardo profondamente carico d'odio e frustrazione sul profilo della ragazza, che nel frattempo era riuscita a mettersi in piedi nonostante non potesse contare sull'utilizzo delle mani. Si copriva timidamente il seno ed i suoi occhi erano terribilmente spalancati, sembrava quasi che lei già sapesse che cosa la aspettava.
-Dimmi un po', Eva- ghignò il killer, avanzando lentamente in sua direzione. -Sei consapevole del fatto che potrei ammazzarti in qualsiasi momento, non è così?-.
La ragazza indietreggiò di un passo, andando a sbattere contro una pila di libri pieni di polvere che giacevano abbandonati sul pavimento. Chissà se quel mostro ne aveva mai sfogliato anche una pagina soltanto.
-Rispondi!- gridò.
Lei annuì energicamente. -S..Sì-.
-E allora- continuò il moro, afferrandole il mento per costringerla a guardarlo dritto negli occhi. -Dovresti essermi grata per questa mia gentilezza, puttana-. La spessa cicatrice che portava sulle guance si congiunse con la curvatura delle sue labbra sottili, andando a comporre un enorme grottesco sorriso che, in quel momento, lo faceva sembrare molto più simile a un demone che a un essere umano.
Consapevole del fatto che lei fosse troppo intimorita per riuscire a muovere un solo muscolo, lentamente avvicinò il volto sfregiato al suo collo, riempiendosi le narici del profumo che la pelle della ragazza emanava; poi, con un movimento estremamente lento e calcolato, vi fece scorrere sopra la punta della lingua risalendo fino all'orecchio sinistro. La sua sottomissione lo faceva sentire onnipotente, un Dio sadico e viziato.
-Dovresti proprio ringraziarmi-.
Nel contatto forzato del suo corpo su quello del killer, Eva percepì un disgusto tale da farle risalire un conato di vomito dalla gola; eppure, nonostante questo, la paura le impedì del tutto di reagire anche in quella occasione. Lasciò che lui la privasse dei pochi stracci che ancora indossava a stento, senza dire una singola parola; allo stesso modo, solo pochi attimi dopo, posizionò il suo corpo in modo che lui potesse possederlo causandole in minor dolore possibile. Anche questa volta non disse nulla quando lo sentì entrare in modo violento e prepotente dentro di lei, tantomeno osò fiatare fino a che quel maledetto mostro non ebbe raggiunto il culmine del piacere, allenando finalmente la presa sul suo corpo tremante.
Solo allora indietreggiò, trascinandosi sul pavimento come un verme fino a rannicchiarsi contro alla parete; provava una sensazione di odio e disgusto così forte che le sue emozioni sembravano in procinto di esplodere nella sua mente. Per qualche attimo, pensò addirittura che sarebbe finita per impazzire.
Tra i singhiozzi di un pianto tanto silenzioso quanto disperato la ragazza rivolse infine uno sguardo al suo aguzzino, che giaceva disteso a terra a pochi metri di distanza da lei; forse per via delle sostanze che aveva consumato oppure della stanchezza, era finito per addormentarsi sul pavimento gelido di quel lugubre monolocale con la guancia dentra poggiata sul bordo del tappeto. Lunghe ciocche di capelli neri come la pece si pesavano sulle sue spalle magre, accarrzzandone i lineamenti quasi come a volerli rendere più delicati; la cicatrice sulle sue guance, adesso, era più simile ad un ghigno di rassegnazione.
Eva era certa di odiare profondamente quell'essere immondo per tutto il male che le stava facendo, non aveva dubbi sul fatto che avrebbe voluto vederlo bruciare; eppure adesso, osservando il suo volto inerme, le sembrava quasi di scorgere sotto a quella corazza di odio e crudeltà qualcosa di molto diverso. Come se tutto ciò che Jeff era diventato non fosse causa della sua personalità malvagia, ma di un'esistenza disgraziata e triste che aveva forgiato i tratti più spietati e folli della sua personalità.
Niente di tutto questo sarebbe mai stato sufficiente a indurla a perdonarlo, ma forse avrebbe potuto manipolare quell'essere in modo da permettergli di comprendere quanto la sua visione delle cose fosse profondamente sbagliata.
Eva voleva soltanto tornare a casa.
E per aver salva la pelle, qualche volta, tocca provare a empatizzare con il lupo.

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