28 - Dualismi celati

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I lunghi anni che Jeff aveva vissuto per strada lo avevano reso capace di sopprimere la maggior parte delle sue emozioni, distaccarsi emotivamente da tutto quanto e condurre un'esistenza prettamente egoistica. Nonostante ciò la sola e semplice esistenza di Eva era stata in grado di far vacillare tutta questa sua sicurezza in un modo che il ragazzo, senza troppi giri di parole, detestava profondamente.
Sapeva bene che stringere un legame affettivo con le persone era un modo di rendersi più debole e per questo motivo aveva da sempre rifiutato di sbilanciarsi così tanto nei confronti di qualcuno; tuttavia, con Eva si rendeva conto di non riuscire a mantenere il controllo fino a quel punto. Realizzare di preoccuparsi per lei lo faceva uscire fuori di testa, ma era una cosa che non riusciva a impedire.
Silenzioso come un gatto la osservò mentre si portava voracemente il cibo alla bocca e svuotava metà della bottiglia d'acqua senza prendere fiato. Il corpo della rossa era ormai ricoperto di graffi e lividi scuri, che si contrapponevano al pallore della sua carnagione; pensò che fosse un peccato, intaccavano la sua bellezza. Aveva usato quel corpo per il suo piacere personale fino a danneggiarlo in modo evidente, lo aveva trattato come un oggetto, qualcosa che esiste con il solo scopo di appagare un bisogno. Quale tremendo errore.
-Se sarai obbediente e mi porterai rispetto, non avrò più alcuna ragione per farti del male- mormorò il giovane killer, continuando ad osservarla intensamente.
Lei cessò per un attimo il suo insistente masticare, ma solo per alzare lo sguardo sul suo aguzzino e rispondere con un breve cenno affermativo del capo; si sentiva debole, era preoccupata per la sua sorte, ma la voragine nel suo stomaco le impediva di ragionare lucidamente. -Mi comporterò bene- bisbigliò, riprendendo a inguirgitare il suo pasto.
-Lo spero per te-.
Dando uno sguardo al vetro della finestra, nel punto preciso in cui tra le pagine dei giornali appesi si era creata una fessura oltre la quale erano visibili i profili lontani dei palazzi, Jeff si apprestò a raggiungere il piccolo bagno di cui il suo appartamento era dotato per concedersi una doccia e scrollarsi di dosso tutto lo sporco che aveva accumulato in quegli ultimi folli giorni. Prendersi cura di sé stesso non era una cosa poi tanto usuale per lui, ma pensò che l'acqua fresca forse sarebbe riuscita ad allontanare la nube scura che offuscava fastidiosamente i suoi pensieri.
Non restò sotto la doccia molto a lungo anche perché la scarsa pressione dell'acqua, dovuta alla pessima manifattura degli impianti, rendeva frustrante riuscire a lavare via lo sporco dalla sua pelle, per non parlare di quello accumulato da le ciocche dei lunghi capelli; tuttavia, quando avvolgendosi un asciugamano sul torso tornò a dirigersi in salotto, il killer si rese conto che a quel punto la ragazza aveva iniziato a fissarlo molto insistentemente.
Ne fu infastidito, ma la ignorò.
Con un gesto silenzioso ma estremamente severo allungò una mano in sua direzione e le indicò il letto, come a volerle ordinare di andare a stendersi; forse la sua presenza all'interno della stanza, in quel preciso momento, gli stava causando del fastidio. La rossa obbedì senza alcuna esitazione, sistemandosi tra le lenzuola spiegazzate e scolorite evitando di proposito il contatto visivo con il suo aguzzino. Sembrava non avere più alcuna intenzione di tentare la fuga, ma dal momento che probabilmente la sua era nient'altro che una recita che aveva il preciso scopo di entrare nelle sue grazie, Jeff continuava ad essere piuttosto diffidente nei suoi confronti.
Quella fu una sera fredda, dannatamente fredda.
Le temperature esterne verso mezzanotte scesero sotto allo zero, così come anche quella all'interno del piccolo appartamento che era da sempre sprovvisto di un impianto di riscaldamento; Eva si rannicchiò su se stessa avvolgendo le vecchie lenzuola attorno al corpo, nel disperato tentativo di placare i tremori causati dal freddo, incapace di prendere sonno. Il suo aguzzino, nel frattempo, la osservava standosene seduto sulla solita poltrona sgualcita con un'espressione assente.
Si fece notte fonda e alla fine, a causa della stanchezza che si era posata sulle sue ossa, anche il moro finì per addormentarsi in una posizione dannatamente scomoda fino a che un acuto dolore al collo non lo strappò via dal suo pesante sonno.
"Fanculo" mormorò.
Con una smorfia si massaggiò la zona con una mano per poi lanciare uno sguardo al letto sul fondo della stanza, ove poté scorgere la figura snella di Eva attorcigliata tra le lenzuola alla disperata ricerca di un po'di calore. Era stufo di pensare, gli faceva male la testa e quella notte la costante lotta interiore tra lui ed i suoi stessi demoni pareva destinata a subire una tregua; così, senza fermarsi a pensare troppo, si alzò in piedi e abbandonò la poltrona per adagiarsi a sua volta sul materasso, proprio accanto a lei.
Nel percepire la sua presenza ella spalancò gli occhi e si irrigidì, ma non osò muovere un singolo muscolo. Restò immobile con il fiato sospeso mentre sentiva il corpo di Jeff sistemarsi accanto al suo, in un goffo tentativo di riscaldarla ma limitando al minimo il contatto fisico; non voleva darle motivo di pensare che potesse avere cattive intenzioni, almeno non questa volta.
Avvolto da un'oscurità impenetrabile il ragazzo dai capelli neri si ritrovò a fissare il vuoto, limitandosi ad ascoltare il tiepido sospiro di Eva che mano a mano si faceva sempre più rilassato, come si stesse realizzando di potersi fidare di lui; e per qualche motivo, realizzare questo, lo fece sentire dannatamente bene. Sospirando calò lentamente le palpebre, riscaldato da emozioni che non aveva idea di poter provare.

...

Attraverso i fogli di giornale malamente incollati alle finestre le prime luci dell'alba avevano iniziato a penetrare all'interno della stanza, rendendo visibili i profili della mobilia e dei cumuli di spazzatura abbandonati sul pavimento e sulla mobilia. Jeff allungò le gambe attorcigliate tra le lenzuola per stirarsi un po', mentre progressivamente recuperava il contatto con la realtà; i suoi occhi misero a fuoco il soffitto sopra alla sua testa, pieno di vistose crepe e macchie di umidità. Il suo primo istinto fu quello di voltarsi verso l'altro lato del letto ove Eva aveva riposato al suo fianco per tutta la notte, ma solo per ricevere un pugno nello stomaco così forte da fargli venire la nausea: la ragazza era sparita, ma sul materasso vuoto era ancora presente il solco generato dal peso del suo corpo.
Eva non c'era più.
Il killer sbattè più volte le palpebre mentre faceva scorrere una mano sul cuscino ormai freddo, per poi issare rapidamente la schiena per poter ispezionare con lo sguardo il resto della sua abitazione; anche qui, però, della giovane sembrava non esserci alcuna traccia.
In quel momento sentì due emozioni farsi spazio rapidamente nella sua testa, prendendosi a spallate l'una con l'altra poiché ognuna di essere pareva voler prevaricare; era terribilmente deluso e amareggiato all'idea che lei avesse deciso di approfittare della situazione per trovare un modo per fuggire, si sentiva profondamente tradito. Allo stesso tempo, però, l'improvvisa assenza della ragazza aveva riempito il suo corpo di una rabbia sovrumana.
"Come hai potuto...".
Spaesato ma deciso a capire che cosa fosse accaduto balzò in piedi e iniziò a ispezionare l'intero appartamento in modo ossessivo, mentre l'ansia e la rabbia dentro di lui si facevano sempre più soffocanti al punto che, per qualche motivo, ad un certo punto aveva la netta impressione che la luminosità all'interno della casa fosse calata drasticamente. Fu quando decise di spalancare l'anta dell'armadio, tuttavia, che la realtà decise di dargli uno schiaffo in pieno volto: all'interno del vecchio mobile, adagiata su una pila di vecchi abiti sgualciti e lenzuola sporche, giaceva il corpo della ragazza.
Gonfiò il petto riempiendo d'aria i suoi polmoni, per poi restare immobile a osservare inerme la raccapricciante scena che gli si parava davanti.
Il candore della morbida pelle di Eva era imbrattato del colore scuro del sangue rappeso e da solchi profondi, come quelli inflitti da una sciabola, che percorrevano il suo corpo da cima a fondo. La giovane aveva la testa riversa all'indietro, gli occhi vitrei spalancati sembravano essere rivolti proprio verso di lui ma erano dannatamente vuoti, spenti, privi di ogni energia vitale; a prova di questo l'enorme squarcio che portava sulla gola, tanto profondo da aver tranciato la carotide permettendo al suo collo di contorcersi molto più di quanto avesse altrimenti potuto.
Una disperazione paralizzante si impadronì di Jeff non appena di rese conto di ciò che doveva essere accaduto: erano soli in quella stanza, e non aveva trovato nessun segno di effrazione.
Ciò significava che ad ucciderla era stato proprio lui.
Si portò entrambe le mani al volto per occultare la visione del cadavere mentre le sue gambe cadevano, a causa del forte tremore che d'un tratto le affliggeva; realizzare di aver annientato in modo così brutale l'unica persona che avesse mai amato ruppe inesorabilmente qualcosa all'interno del suo cuore, qualcosa che non si sarebbe aggiustato mai più. Il dolore che provò in quel momento fu come una freccia che entra dalla schiena e si conficca al centro del cuore.
Ma nel momento in cui le sue ginocchia impattarono violentemente contro al pavimento freddo il killer spalancò le palpebre e cacciò un urlo a squarciagola, ritrovandosi di colpo faccia a faccia con il soffitto sopra alla sua testa.
Si voltò di scatto con il cuore in gola, questa volta trovando Eva ancora addormentata accanto a lui.
Un brutto sogno, un terribile scherzo della sua mente. Fu soltanto questo.

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