5. La danza dell'ubriaco

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Ogni singolo muscolo nel corpo della ragazza in quel momento si irrigidì, mentre il suo cuore era tornato a rimbalzare all'impazzata contro al petto.
Grazie al paralizzante silenzio che aleggiava all'interno di quel vecchio edificio fu molto facile per lei percepire distintamente quel rumore di passi, anche se il suono pareva essere lontano decine di metri rispetto alla sua posizione.
Con la respirazione accelerata, parzialmente impedita dal nastro adesivo premuto sulla sua bocca, Eva non poté far altro che restare immobile e ascoltare con attenzione ognuno di quei passi, che pian piano salivano le scale e sarebbero presto o tardi giunto fino a quel piano.
Piangere, urlare, perdere il controllo non sarebbe servito a nulla. Questo, purtroppo o per fortuna, lo aveva già capito da un po'.
Lanciò un'occhiata alle vetrate sporche, attraverso le quali poteva scrutare un cielo grigio e le sommità di alcuni palazzi malmessi: la tipica cartolina di Netville. In quel momento avrebbe tanto voluto fuggire con il pensiero, tornare a casa anche solo per qualche minuto, giusto il tempo necessario a dire ai suoi genitori che era tutto ok e che non avrebbero dovuto sentire la sua mancanza qualora fosse sparita per sempre.
Quando il rumore si fece decisamente più intenso e vicino, la ragazza si rese conto che chiunque fosse la persona che le si stava avvicinando aveva un'andatura molto scoordinata, come se fosse ubriaco oppure zoppo; a quel punto il suo sguardo si posò sul fondo della stanza, ove si trovava la porta chiusa che dava accesso al corridoio.
Il suo cuore mancò un battito quando vide la maniglia venire abbassata in modo decisamente brusco, appena prima che una figura goffa e spaesata facesse il suo ingresso; Eva lo riconobbe immediatamente, si trattava senza dubbio dello psicopatico che aveva incontrato pochi attimi prima di venire rapita dagli altri due.
Jeff, questo doveva essere il suo nome.
Con il fiato sospeso la rossa restò immobile a osservarlo, e ad un certo punto anche lui le posò il suo sguardo addosso; era visibilmente stordito dell'alcol e questo poteva essere facilmente intuito dal fatto che reggeva nella mano sinistra una bottiglia di vodka quasi vuota. Il ragazzo aveva lo sguardo spento, le spalle ricurve come se stesse reggendo un enorme peso invisibile; avanzava dondolandosi sulle sue stesse gambe, era evidente che facesse una certa fatica a mantenersi in equilibrio.
In altre parole, era ubriaco fradicio.
-E tu...- iniziò a borbottare allungando una mano verso di lei, con un gesto tanto rapido quanto scoordinato. -Tu che cazzo ci fai qui?!-.
Il volto di Eva si fece pallido. Strinse le labbra e aggrottò la fronte  tentando di elaborare una risposta che in qualche modo le avrebbe consentito di avere un qualche sorta di vantaggio. Possibile che quel pazzo non si ricordasse di nulla?
-Il...L'uomo con il camice bianco- borbottò, con un tono di voce così basso che a malapena le sue parole furono udibili.
Il moro annuì energicamente con la testa, mentre pian piano di avvicinava a lei. -Sì, Smiley-.
-Lui mi ha...- continuò l'altra, senza staccargli gli occhi di dosso. Stava tentando di capire se davvero lui non ricordasse oppure se stesse semplicemente giocando con lei, ma non riusciva a ragionare lucidamente poiché il suo sguardo finiva per cadere continuamente sulla enorme cicatrice che l'altro portava sulle guance. Era un solco spesso e profondo, che attraversando il suo volto creava una sorta di grande quanto grottesco sorriso.
-Mi ha portata qui...- concluse, scuotendo il capo come per liberarsi di quei pensieri intrusivi.
Il ragazzo fece una smorfia, mentre per errore la bottiglia di vodka scivolava via dalla sua mano e si infrangeva sul pavimento, ove il poco liquido rimanente si disperse sulle mattonelle rotte.
-Merda- commentò, visibilmente irritato. A quel punto si posizionò proprio davanti all'ostaggio e iniziò a osservarla meglio, con la testa lievemente piegata di lato e l'espressione di chi non è del tutto certo di essere sveglio o addormentato; i suoi occhi erano i più chiari che lei avesse mai incrociato, di un azzurro che pareva quasi tendere verso il bianco. Tuttavia, lo sguardo di quell'individuo non lasciava spazio a molti dubbi sul fatto che fosse un pericoloso squilibrato.
Con movimenti lenti e scoordinati Jeff diede un calcio alla porzione di bottiglia rimasta integra, facendola rotolare per un paio di metri lungo il pavimento sporco; poi, con una smorfia di fastidio, esordì: -Credevo che Smiley ti avesse già fatta a pezzi. Non capisco perché sei ancora qui-.
Le terrificanti immagini di ciò che aveva visto poche ore prima tornarono a infestare la mente di Eva, mentre tentava in ogni modo di evadere lo sguardo del folle rapitore. Aveva ucciso quella povera donna come un cane per strada, senza dimostrare alcun tipo di rimorso o compassione; non aveva bisogno di domandarsi se ne avrebbe avuta per lei.
Eva scelse di restare in silenzio, ma non poté impedire a sé stessa di sussultare nel momento in cui Jeff, ripulendosi le labbra dalle ultime tracce di vodka, allungò una mano verso di lei e la afferrò saldamente per i capelli, bloccando la sua nuca contro alla parete retrostante. Brividi di adrenalina e terrore percorrevano il suo corpo all'impazzata ma lei, con le mani legate dietro alla schiena, non aveva alcuna possibilità di sfuggire a quella presa.
-Dopotutto sei fortunata...- iniziò a sghignazzare il moro, guardandola dritta negli occhi con un'espressione profondamente entusiasta, ma priva di umanità. Con dei piccoli movimenti isterici il ragazzo ridacchiava, senza mai mollare la presa sul ciuffo di capelli rossi che forse da lì a poco avrebbero iniziato a strapparsi; i gomiti di dolore che la sua vittima emetteva involontariamente, anziché scoraggiarlo, lo eccitavano terribilmente.
-È il momento di festeggiare un felice compleanno, che ne dici?- borbottò ancora. Subito dopo, con un paio di passi assolutamente scoordinati, lasciò la presa su Eva e si allontanò di qualche metro, raggiungendo i resti della bottiglia vuota.
La ragazza deglutí a fatica, fu solo grazie al suo istinto di sopravvivenza che riuscì ancora a parlare nonostante fosse ormai paralizzata dalla paura. -Ve l'ho già detto- mugolò, con un filo di voce che traballava come un bicchiere d'acqua durante un terremoto. -La mia famiglia pagherà il riscatto... Possono pagarvi bene!-.
-A me non hai detto proprio un cazzo di niente, bella- ghignò lui, che per poco non finì con la faccia a terra nel momento in cui si chinò per recuperare la sua vodka. L'alcool in circolo nel suo corpo aveva raggiunto un livello piuttosto critico, tanto da compromettere seriamente le sue capacità motorie.
Lentamente afferrò il collo della bottiglia, che separandosi dalle altre parti aveva assunto le sembianze di un pugnale, per poi tornare subito dopo a voltarsi verso di lei; sul suo viso adesso, però, era comparso un sorriso maligno. -Tranquilla, adesso festeggiamo. Solo io e te- esordì ancora, iniziando a sventolare il pezzo di vetro davanti a lei, come a volerle anticipare in cosa consisteva il "festeggiamento" che aveva in programma.
Eva trattenne il fiato e fece aderire la sua schiena al muro, mentre con entrambe le gambe tentava invano di alzarsi in piedi. -Te lo giuro, l'ho detto all'uomo con il camice!- insistette, con il fiato corto e il cuore che pareva in procinto di scoppiarle nel petto. -Chiedi a lui! Chiediglielo!-.
E il giovane killer, che ormai si trovava davanti a lei, aggrottò lievemente la fronte e abbassò la sua arma improvvisata; per qualche ragione, quell'informazione pareva aver spento il suo desiderio di uccidere subito la ragazza.
Proprio in quell'esatto momento, in modo del tutto improvviso, una figura fece capolino dall'ingresso sul fondo della stanza.
-Jeff, non ti azzardare- ghignò il nuovo arrivato, aumentando rapidamente il passo.
Il moro sembrò pensare per pochi secondi, poi sollevò le spalle e fece un lungo sospiro. -Smiley, ma che piacere- borbottò, lasciando finalmente cadere il coccio di vetro. -Mi stavo giusto chiedendo dove fossi-.

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