22. Ordinaria follia

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In quel freddo trilocale parzialmente avvolto nell'oscurità, il frenetico abbaiare di Dogo oltre la porta chiusa era adesso l'unico suono che osava interrompere furiosamente il silenzio che si era creato. Con un braccio grondante di sangue e la chioma nera completamente spettinata, il giovane killer iniziò ad avanzare senza alcuna esitazione verso quella che era destinata diventare la sua prossima vittima: una ragazzina totalmente innocua, dal volto gentile, con un paio di occhiali spessi poggiati sul naso sottile. Ella temeva per la sua vita, avrebbe tanto voluto collaborare per aver salva la pelle ma il profondo terrore che la stava imprigionando le impediva di reagire.
-Ti ho detto di farlo stare zitto!- esclamò ancora Jeff, indicando con la punta del coltello la porta d'ingresso la quale, a causa delle continue spinte del cane, stava vibrando in modo preoccupante.
Solo a quel punto la ragazzina riuscì a schiudere le labbra, che parevano essere state cucite tra loro, pronunciando a stento una brevissima, ma coincisa, frase.
-Dogo, cuccia!- balbettò, tra i singhiozzi del pianto.
Ma com'era facile prevedere il cane non smise affatto di abbaiare, ed a quel punto Jeff iniziava seriamente a temere che qualcuno nei dintorni avrebbe udito tutto quel baccano e chiamato la polizia; doveva agire in fretta, e ciò significava sbarazzarsi della bestiaccia in qualche modo oppure portare a termine il suo compito più velocemente possibile e dileguarsi subito dopo
I suoi occhi gelidi incrociarono quelli della giovane vittima, spalancati al punto da trasformare il suo viso delicato in un'orrida smorfia da teatro, ma neanche il più debole e vago sentimento di pietà riuscì a farsi strada tra i rovi spinosi che abitavano la sua mente. La aggredì avvolgendo le sue dita attorno al collo, premendo i polpastrelli a fondo fino a percepire con chiarezza l'eccitante pulsazione del sangue che scorreva rapidamente sotto alla pelle.
Come un fiume in piena. Come una bottiglia che trabocca.
"Il corpo dovrà essere immacolato".
Le parole di Smiley tornarono a ripetersi nella mente del moro proprio in quell'istante. Avrebbe dovuto mollare la presa e trovare un modo per eliminare la ragazza senza rovinare in alcun modo l'aspetto del suo corpo, ma ormai un istinto indomabile si era acceso in lui; desiderava ucciderla subito, strapparle via l'anima e ridurre in pezzi tutto ciò che sarebbe rimasto di lei.
La bestia si era svegliata e stava scalpitando.
Colto da un istinto omicida del tutto incontrollabile la accoltellò più e più volte, senza preoccuparsi degli schizzi di sangue che finivano sul suo volto, fino a che la poveretta non cessò completamente di muoversi. Restando in ascolto del caotico abbaiare del cane che pareva aver compreso cosa stesse accadendo alla sua padroncina dietro a quella porta, il killer infine le squarciò la pancia e lasciò che buona parte dei suoi organi interni si riversassero sul pavimento.
Silenzioso si alzò in piedi, osservando per una lunga manciata di secondi l'orribile opera d'arte che in pochi minuti era stato in grado di creare, e facendo scorrere curiosamente lo sguardo sulle forme caotiche che il sangue della vittima assumeva spargendosi sul pavimento. La più maestosa e raccapricciante opera d'arte.
Poi, senza un apparente motivo, la medaglia si rovesciò solo un istante dopo: mentre il ragazzo si lasciava scivolare a terra, poggiando le ginocchia sulle mattonelle lucide di quella cucina, la realtà che lo circondava iniziò a sgretolarsi. Realizzò di aver perso di nuovo il controllo, ma anche di trovarsi in serio pericolo: era impensabile che nessuno nei dintorni avesse udito il cane abbaiare o le urla che la ragazzina aveva cacciato prima di esaltare l'ultimo respiro. Doveva abbandonare quella casa e anche alla svelta, perché da lì a poco avrebbe udito le sirene degli sbirri.
Si rialzò barcollando, poi frugò nervosamente tra i cassetti fino a trovare uno strofinaccio da avvolgere attorno al suo braccio ferito; aprì infine il frigo, prelevando un paio di lattine di birra che buttò giù senza prendere fiato. Uscì da quel luogo di morte e desolazione esattamente come vi era entrato, saltando giù da una finestra, per poi lasciare che l'oscurità della notte celasse la sua macabra figura zoppicante.
Le oscene membra della città di Netville tornarono a cullarlo in un gelido abbraccio, mentre il ragazzo si addentrava abilmente tra i vicoli più bui per sfuggire agli occhi indiscreti di chi, per disperazione o per noia, a quella tarda ora ancora si aggirava senza meta tra le vie del centro. Una sensazione di profonda angoscia attanagliava il suo stomaco, ma non aveva niente a che fare con la missione che aveva palesemente fallito perdendo ancora una volta il controllo dei suoi istinti omicidi: si sentiva come se avesse dimenticato qualcosa, come se vi fosse una questione rimasta in sospeso che aveva volontariamente scelto di non affrontare.
Annaspando il killer proseguì il suo cammino, ma il suo equilibrio si faceva sempre più debole a ogni passo a causa della abbondante perdita ematica ancora in corso; avrebbe voluto tornare al suo monolocale, bere ancora un po' e abbandonarsi ad un sonno quanto più profondo possibile, ma le sue condizioni attuali richiedevano l'intervento di un medico. Suo malgrado fu costretto a prendere la direzione opposta, verso il vecchio palazzo disabitato in cui era solito incontrarsi con Smiley e Jack; sapeva che li avrebbe trovati lì, faceva parte del loro accordo, dopotutto.
Una volta varcato l'ingresso salì le scale con una fatica immane, utilizzando il braccio sano per darsi maggior equilibrio facendo scorrere il palmo sul muro; sentiva le energie vitali dentro di lui ridursi in modo progressivo, sapeva di dover arrestare il flusso di sangue quanto prima per non ritrovarsi con la faccia a terra.
Giunto sul posto trovò soltanto Smiley, accomodato su una vecchia poltrona sul fondo del salone ed intento a sfogliare un libro; chiaramente, lo stava aspettando.
-Sei in ritardo, di nuovo- ghignò l'uomo, sollevando lo sguardo dalle pagine ingiallite per posarlo sul profilo traballante del ragazzo. Considerate le sue notevoli conoscenze in campo medico non impiegò più di un paio di secondi a rendersi conto che le condizioni dell'amico non erano delle migliori. -Che cosa ti è successo?-.
Jeff si fermò a pochi metri da lui, avvolgendo una mano sullo straccio che aveva avvolto attorno al braccio ferito; il dolore iniziava a farsi sentire in modo decisamente più intenso, ma al momento quella non era la sua maggiore preoccupazione. -La fottuta ragazzina- borbottò, mantenendo lo sguardo abbassato. -C'era un grosso cane nell'appartamento, mi è saltato addosso e per poco non mi ha sbranato-.
Sul volto di Smiley comparve un lieve sorriso perverso, forse nel momento in cui la sua mente gli mostrò le immagini di quel momento. -Un cane, dici? Non ne avevo idea- aggiunse, accavallando le gambe con non chalance.
Il moro assunse un'espressione innervosita, mentre cercava di nascondere i dolori lancinanti che stava provando. -Un fottuto cane grosso quanto un orso, cazzo! Mi ha sbranato il braccio-.
-Fammi vedere- si limitò a rispondere l'altro, alzandosi finalmente dalla poltrona.
Le ferite di Jeff furono da lui medicate con attenzione, alcune di essere necessitavano addirittura di essere cucite; le fauci della bestia avevano scavato a fondo nella sua carne, risparmiando per miracolo le vene e le terminazioni nervose sottostanti. Il killer non si permise di emettere un singolo lamento durante tutta la durata della medicazione, ma una volta che il suo braccio fu disinfettato e fasciato a dovere non poté risparmiarsi di affrontare la conversazione che avrebbe tanto voluto evitare in quel momento.
-Allora?- borbottò Smiley, riponendo con cura i suoi attrezzi medici nella valigetta. -Hai fatto ciò che ti ho chiesto con la ragazza?-.

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