15. Il fondo del barile

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Un vecchio straccio arrotolato, avvolto attorno al braccio sinistro e utilizzato come laccio emostatico; queste erano le modalità con cui Jeff assumeva abitualmente droghe per via endovenosa.
Sotto allo sguardo paralizzato di Eva, quella sera il moro non poté far altro che lasciarsi domare dal suo costante desiderio di lasciarsi andare, finendo per consumare una generosa dose di quella sostanza che si era promesso di non utilizzare più. Così, mentre spingeva la siringa nel suo braccio e lasciava che il liquido si mischiasse al sangue, lasciò che il suo corpo si abbandonasse a una sensazione di rilassamento così profonda che, all'improvviso, non era neanche più sicuro di trovarsi nel mondo reale.
Con le palpebre socchiuse il ragazzo appoggiò la nuca contro alla parete, inspirando dal naso una grande boccata d'aria per poi trattenerla alcuni secondi, a polmoni pieni. Tutto lo stress che aveva accumulato in quegli ultimi folli giorni stava finalmente abbandonando il suo corpo, lasciando spazio a una nuova sensazione di indifferenza e beatitudine che finalmente gli concedeva di scacciare via l'ansia.
Tuttavia, mentre si accasciava a terra godendo della sensazione positiva che la droga gli trasmetteva, un rumore improvviso lo costrinse a risvegliarsi bruscamente dal suo stato di beatitudine: qualcuno aveva appena bussato alla porta.
Confuso, Jeff volse uno sguardo pensieroso a Eva, che si trovava rannicchiata in un angolo della stanza; ella ricambiò il suo sguardo, con altrettanta preoccupazione. Quasi certamente anche lei doveva aver udito quel rumore.
Con un movimento estremamente lento e scoordinato il moro si alzò assumendo a stento una posizione eretta, mentre la luminosità della stanza si riduceva in modo estremamente veloce come se l'intensità delle lampadine si stesse riducendo in modo progressivo; pochi attimi dopo, come fosse stato catapultato in un incubo, si ritrovò all'interno di una stanza completamente immersa in un'oscurità impenetrabile.
Lentamente Jeff inspirò aria dal naso e la rilasciò dalle labbra tremanti, guardandosi intorno con la fronte aggrottata nel vano tentativo di comprendere che cosa stesse accadendo; non riusciva a vedere proprio niente, eccezion fatta per un neon difettoso posizionato sopra alla porta, che illuminava di rosso fuoco la scritta digitale "exit". Paralizzato, il ragazzo la scrutò a fondo chiedendosi se la avesse mai vista prima: non ricordava di aver mai installato nulla del genere all'interno del suo appartamento, ma gli effetti delle sostanze che si era appena iniettato nelle vene gli rendevano difficile ragionare in modo logico e coerente.
Avanzando nel buio pesto riuscì a orientarsi a tastoni, percorrendo il perimetro della parete fino a raggiungere l'uscita; poco distante da lui, riusciva a sentire i flebili lamenti di Eva che stava trattenendo a stento un pianto soffocato.
Tum. Tum. Tum.
Qualcuno stava bussando insistentemente alla porta, sferrando pugni così forti da far traballare la luce appesa lì sopra. Jeff raggiunse a stento la porta, sforzandosi di mettere un piede davanti all'altro fino ad aggrapparsi al pomello nonostante la sua quasi totale incapacità di coordinare i movimenti; una sensazione di angoscia profonda si era impadronita di lui, anche se non riusciva a comprendere del tutto a cosa fosse dovuta.
Con la mano che tremava riuscì ad avvolgere le dita sul pomello e rotearlo verso sinistra, sbloccando la serratura; subito dopo fece un passo indietro, immergendosi nell'oscurità profonda che avvolgeva interamente la stanza. Davanti a lui trovò un corridoio vuoto, illuminato da un antico lampadario che pendeva dal soffitto e oscillava come se fosse appena stato spinto da qualcosa o qualcuno, dal quale cadevano giù grosse gocce d'acqua le quali finivano per infrangersi sul pavimento; della persona che aveva appena bussato alla sua porta non vi era neanche l'ombra.
-Ma che cazzo...- borbottò Jeff portandosi entrambe le mani alla fronte, mente tentava invano di recuperare una lucidità mentale sufficiente a capire che cosa stesse realmente accadendo. Iniziava a sospettare che quella situazione assurda fosse frutto della sua immaginazione, resa più vivida e reale dalla dose di sostanze che si era appena fatto; così, travolto dallo sconforto, si accasciò a sedere a terra e iniziò a premere energicamente entrambi i palmi sulle tempie nel disperato tentativo di recuperare il controllo dei suoi pensieri.
Il respiro si fece affannato.
Poco dopo, il suo corpo fu scosso da una serie di brividi che lo fecero tremare come una foglia secca al vento.
La luce a neon sopra alla sua testa aveva iniziato a lampeggiare molto più velocemente, emettendo un suono assordante che sembrava intento a disintegrare i suoi timpani: stava perdendo del tutto il controllo della situazione.
-Jeff, ma che cazzo tu prende?-.
Con il fiato mozzato, il ragazzo si sforzò di aprire gli occhi e realizzò di trovarsi di nuovo nella sua abitazione. Ogni cosa attorno a lui era tornata al suo posto, l'oscurità era sparita e con essa anche tutto il resto.
Disarmato il ragazzo balzò in piedi, trovandosi faccia a faccia con Jack, il membro più riservato e misterioso della combriccola di reietti di cui faceva parte; indossava come sempre la sia maschera, ma vestiva con abiti comodi come se fosse uscito di casa solo per raggiungerlo.
-Ma cosa..- borbottò Jeff, riducendo gli occhi a due fessure per scrutare più attentamente il profilo anonimo dell'amico. -Che cazzo ci fai tu qui? Come sai che vivo a questo indirizzo?-.
-Calmo, calmo- replicò l'altro, sollevando entrambe le mani. -Quello che combini non è affar mio, ma volevo assicurarmi che stessi bene- rivelò, con un punto di imbarazzo. -Perché Smiley è davvero incazzato stavolta-.
L'altro gli rivolse uno sguardo stralunato, poi scosse la testa e fece un passo indietro; solo allora si rese conto di avere una lunga riga di sangue sul braccio, che si era causato bucandosi con la siringa poco prima; vi passò sopra una mano, tentando invano di coprirne le tracce pur sapendo che il suo interlocutore quasi certamente l'avesse gia notata. -Ma di che parli?- domandò, confuso. -Incazzato per cosa?-.
Jack sorrise lievemente sotto alla sua maschera, sollevando le spalle. Conosceva quel ragazzo dai capelli neri da poco tempo, ma aveva subito capito quanto lui fosse folle e imprevedibile; tuttavia, fino a quel momento aveva creduto che, quantomeno, lui fosse consapevole di ciò che faceva. -Penso sia meglio che tu vada a parlare con lui- gli suggerì, senza entrare nei dettagli. -Fossi in te, ci andrei subito-.
Detto questo il losco individuo mascherato gli voltò le spalle e, senza più aggiungere una singola parola, si allontanò lungo il corridoio interno che conduceva ai piani inferiori del palazzo, sommerso di polvere e cicche di sigarette.
Jeff lo guardò andar via in silenzio, tentando di comprendere cosa potesse mai essere accaduto nonostante la sua condizione attuale limitasse in modo considerevole la sua capacità di pensare; si sentiva pesantemente intontito e stanco, ma questo non gli impediva di provare preoccupazione per quanto era appena accaduto. Non aveva idea di cosa Smiley potesse volere da lui, ma voleva risolvere quella situazione in fretta prima che potesse diventare motivo di ansia o preoccupazione.
Lentamente il killer si voltò indietro e, con suo grande sollievo, trovò Eva esattamente dove l'aveva lasciata: la ragazza, seduta a terra con le mani ancora legate, ricambiava il suo sguardo con le guance bagnate da qualche lacrima.
Eppure, nonostante la trememda situazione in cui si trovava, nei suoi occhi si rifletteva un senso di disapprovazione e severità che pareva del tutto inappropriato.
-Devi smetterla di farti con quella merda- recitarono le sue labbra tese, mentre stringeva i pugni legati tra loro.
Jeff rimase scioccato nell'udire quell'affermazione, che la rossa aveva sputato fuori dai denti con un tono di voce carico di rancore.
-Non ricordo di aver mai chiesto il tuo parere, puttana- le ghignò contro, nonostante si sentisse fortemente destabilizzato da quella situazione. Detestava che gli venisse detto cosa doveva o non doveva fare, eppure nel suo inconscio sapeva bene che Eva aveva ragione: doveva essere sembrato proprio un cretino ai suoi occhi, mentre si ciondolava lungo la stanza divorato dell'oscurità e dal caos delle sue allucinazioni.

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