10 Capitolo

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1settimana dopo.
«Bella addormentata svegliati! » urla la mamma spalancando la finestra. Un freddo glaciale colpisce il mio corpo coperto solo da una canotta e da dei pantaloncini. Mi copro fino al naso e mi giro dall'altra parte. «Alzati, su! » mi toglie le coperte e mi da una piccola sberlina in faccia. Apro gli occhi e sbuffo. «Ora mi alzo. » dico con la voce impastata dal sonno. Non ho nessuna voglia di alzarmi, voglio dormire! Ma oggi parto, e dobbiamo andare all'aeroporto di Milano. La mamma esce dalla mia stanza chiudendo, miracolosamente, la porta. Mi alzo dal letto e vado a chiudere la finestra, mi guardo le braccia e ho la pelle d'oca. Guardo fuori dalla finestra e osservo la mia bella Bolzano, beh, abbastanza bella. Fuori è ancora buio e gli alberi sono immersi nel buio, ma si sentono già gli uccellini cinguettare e qualche macchina. Guardo i vestiti rimasti nell'armadio, quelli che non ho messo in valigia, e prendo una maglietta a maniche corte con su scritto "Sorry not sorry " e una gonna bianca. Mi cambio e prendo lo zaino, le valigie devono averle già portate giù perché non sono più accanto alla porta. Prendo le cuffie e il telefono e li metto nella tasca anteriore dello zaino. Prendo le vans e le infilo. Scendo di sotto e mi ritrovo tutta la famiglia, Jennifer compresa, a tavola. Zago mi viene incontro e strofina il nasino sulla mia gamba, la accarezzo e vado a sedermi. «Mi dovrai chiamare tutti i giorni! » esclama Jennifer puntandomi un dito contro. Annuisco sorridendo e prendo un pancake. La mamma mi passa il latte e il cacao e inizio a fare colazione. È molto presto, sono le cinque e mezza, di domenica! «Mangia bene tesoro. » mi raccomanda la mamma passandomi la marmellata, il burro e il miele. Cerco di non strozzarmi mentre rido e la ringrazio. «Allora? Pronta sorellina? » mi domanda Lucas. Annuisco mentre prendo in braccio Bryan. «Ah, sono felice che starai un po' con me. » sorride la zia. Ricambio il sorriso e continuo a mangiare. «Tutte le valigie, di entrambe, sono in macchina. » ci informa papà entrando in cucina. Si siede anche lui e mi sorride con occhi tristi. «Mi mancherai tesoro. » mi dice dopo un po'. «Anche tu. » rispondo sorridendo. Mi abbraccia e io ricambio affondando la testa nell'incavo del suo collo. Bryan scende dalle mie gambe per non essere schiacciato e io sorrido lievemente.

«Chiamami appena arrivate, okay? Okay. » mi dice la mamma mentre la zia fa il check-in. «Si mamma. » dico stampandole un bacio in fronte. Jennifer mi abbraccia, come riesce, e io ricambio. Lei scoppia a piangere e qualche lacrima scende anche a me. «Devi chiamarmi tutti i giorni. E devi avvisarmi quando nascerà mia nipote! Io devo esserci. Chiaro? » domanda guardandomi dritta negli occhi. Annuisco abbracciandola forte e dandole un bacio sulla fronte. Lucas mi abbraccia forte e io respiro a fondo il suo profumo. Mi mancherà così tanto. «Stammi bene sorellina. » sussurra tra i miei capelli e mi bacia la fronte. Annuisco e mi stacco. Ora tocca a Bryan che si attacca a me e inizia a piangere. «Ti voglio bene. » singhiozza. Gli do un bacio sulla guancia e lo stringo forte. «Anche io. » rispondo. Ora è il turno di mamma e papà. Mi abbracciano entrambi allo stesso tempo. Mi sento al sicuro tra le loro braccia. Come quando ero piccola e mi sbucciavo un ginocchio, o come quando, per la prima volta, sono andata in bicicletta. Loro erano lì ad abbracciarmi. Respiro a fondo anche i loro profumi. «Fai la brava. » «E chiamaci. » «Non far disperare la zia. » «E chiamaci quando starà per nascere. » mi raccomandano entrambi. Annuisco e mi stacco da loro. Mi abbasso fino ad arrivare alla stessa altezza del mio cane e la guardo. «Zago. » dico grattandole il mento. «Ti voglio bene cucciola. » dico baciandole la testa. La sento scodinzolare e poi appoggia il suo muso sul mio collo. La abbraccio forte e la guardo negli occhi. «Andiamo. » mi chiama la zia. Mi alzo e saluto tutti, poi mi giro e vado dalla zia. Salutiamo tutti, di nuovo, e saliamo in aereo. «Tu vuoi stare vicino al finestrino? » mi domanda la zia mentre cerchiamo i nostri posti. Annuisco e ci sediamo. Io mi siedo vicino alla finestra e appoggio lo zaino per terra. Prendo il telefono e le cuffie e poi guardo la zia. «È la prima volta che voli. Emozionata? » mi domanda la zia. Annuisco sorridendo. «Tieni. » dice passandomi 150 dollari. Spalanco gli occhi e li prendo titubante. «Una cosa che ho detto, e fatto, quando sono andata a vivere a Los Angeles è stata: nuova vita, nuova me. » mi sorride. «Domani andremo al centro commerciale, potrai farti un altro piercing, cambiare colore di capelli, comprare vestiti. Fare quello che vuoi. » mi spiega. Sorride felicissima e la abbraccio forte. Ha ragione, un nuovo posto, un nuovo look. Arriva l'hostess e inizia ad indicare le uscite di sicurezza ed eccetera. Faccio finta di ascoltare e fisso fuori dal finestrino. «Io metto la musica e cerco di dormire. » avviso mi zia infilando le cuffie nelle orecchie. Lei annuisce e inizia a leggere un libro. Sento l'aereo partire e stringo il telefono tra le mani fino a che non decolla. Guardo fuori e vedo le cose farsi sempre più piccole, fino quasi a sparire. Guardo sotto di me le nuvole, sembra zucchero filato, mi viene voglia di mangiarle. Mi attacco al finestrino e guardo fuori tutto a bocca aperta. Sorrido a quella vista e poi chiudo gli occhi facendo partire "Grazie" degli Zero assoluto. Mi accomodo sul sedile rosso e porto le ginocchia al petto, voglio dire fino a dove la pancia le lascia arrivare.
"Grazie per ogni singolo momento nostro, per ogni gesto il più nascosto, ogni promessa ogni parola scritta, dentro a una stanza che racchiude ogni certezza. "
Mi vengono in mente i momenti con Lucas. Quando, da piccoli salivamo sul tetto arrampicandoci sulla sua finestra. Oppure con Jennifer, quando andavamo alle medie abbiamo fatto piangere una professoressa l'ultimo giorno. Le abbiamo appiccicato la sedia a terra e abbiamo messo la colla sulla sedia facendo si che lei rimanesse appiccicata. O quando è nato Bryan. Alle quattro del mattino papà ha dovuto portare mamma, e tutti noi, all'ospedale perché quella peste stava nascendo. Insomma, sono tanti bei momenti che messi insieme hanno fatto di me la persona che sono oggi. Con questi pensieri piano, piano mi addormento.

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