Prologo

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-"Papà mi racconti un'altra storia?"
-"Va bene principessa,ma poi si va a nanna!"
-"Ma non voglio andare a dormire..." brontolai io incrociando le braccia sul petto.
-"Dai tesoro mettiti sotto le coperte" mi sorrise dolcemente lui per poi chinarsi su di me e darmi un bacetto sulla fronte.
-"Me ne leggi una lunga?" Domandai accoccolandomi tra il piumino.
-"Okay" annuì e sfogliò il libro delle fiabe "questa è perfetta" mi sorrise e picchiettò l'indice sulla punta del mio nasino "chiudi gli occhi che ora voliamo con la fantasia"
Cercai di lottare contro il sonno, ma persi la battaglia e mi addormentai poco dopo.
Sentii a stento mio padre che mi rimboccava le coperte prima di tornare in camera sua.

Il giorno seguente ci vestimmo di tutto punto per aspettare i nuovi arrivati.
Non a caso la casa era invasa da scatoloni e questo era dovuto all'imminente arrivo della mia matrigna e dei suoi figli.
A metà pomeriggio finalmente suonò il campannello.
Mi alzai dal divano e corsi verso la porta. Superai papà, presi lo sgabello per vedere dallo spioncino e aprii.
Davanti a me una donna quasi tutta di plastica mi rivolse uno dei sorrisi più falsi che io avessi mai visto, mentre le due gemelle, di un anno più grandi di me, si tiravano i capelli e urlavano come oche.
L'unico che sembrava essere normale era il bambino biondo dagli occhi color smeraldo che mi salutò timidamente con la mano.
Cercai di essere il più gentile possibile e mi proposi per far esplorare loro la casa.
Vivevo in una grande villa a 3 piani con la piscina e un giardino privato pieno di fiori colorati che avevo piantato insieme ai miei genitori.
Dopo la morte di mamma però era Frank, il giardiniere, ad occuparsi delle aiuole e delle piante, anche se talvolta mi lasciava dargli una mano.
Comunque speravo che tornassimo felici come prima infatti già fantasticavo sulle grigliate e le feste in piscina con i nuovi bambini.
Di solito durante l'estate io e papà ci divertivamo molto a fare il bagno e a saltare da un materassino all'altro.
In realtà io saltavo e lui mi teneva i gonfiabili finché non dovevo buttarmi e fare centro nella grossa ciambella rosa. Era una specie di percorso ad ostacoli e secondo me sarebbe piaciuto anche alle gemelle e al bambino.

Nel giro di poco si ambientarono tutti molto in fretta.
Mio padre sperava che mi trovassi bene con le gemelle, ma alla fine legai di più con Eddie.
La mia matrigna invece era completamente diversa da mia madre e forse era per questo che non mi andava molto a genio, però la cosa era reciproca.
Lei aveva apportato molti cambiamenti per esempio mi aveva fatto cambiare camera perchè le sue bambine avevano bisogno di una stanza più grande, soprattutto se dovevano condividerla.
Poi aveva anche tolto gran parte dei fiori perchè Sheril e Janet erano allergiche al polline.
Inoltre aveva introdotto questa "nuova tradizione" di andare a mangiare fuori ogni fine settimana, sostituendola alla solita serata film e hamburger.

Preferivo la nostra tradizione di famiglia. La serata cinema e schifezze era più divertente.

Una piovosa domenica sera, mio padre non arrivò a prenderci per andare a mangiare al ristorante.
Lo aspettammo per un po' seduti sul divano.
Dalla noia lasciai dondolare le gambe seguendo con i piedi i movimenti dell'orologio a pendolo e mi guardai attorno: c'era chi dormiva,chi quardava la tv e chi si faceva le unghie.
Ad un tratto squillò il telefono e corsi a rispondere sperando fosse mio padre che ci avvertiva di un leggero ritardo, invece una voce a me sconosciuta disse:
-"parlo con la famiglia Watson?"
-"sì,cerca qualcuno?"risposi educatamente.
Seguì un sospiro.
-"c'è la signora Watson?"
Mi girai verso la mia matrigna e le fissai le lunghe unghie smaltate che stava affilando con la lima.
-"No, ma può dire a me"
-"Am...il signor Peter Watson è deceduto. Un furgone ha invaso la carreggiata ed è morto sul colpo. Non ha sofferto. Il guidatore era ubriaco... Condoglianze piccolina."
Mi pentii subito dopo di aver mentito. Avrei dovuto passargli Mary.
Non volevo e non dovevo saperlo in questo modo...neanche sapevo il significato di "condoglianze".
Scivolai lentamente lungo il muro fino a toccare terra. Mi portai le ginocchia al petto e posai la testa su di esse.
I miei occhioni azzurri si riempirono di calde e copiose lacrime,rigandomi il viso.
I miei riccioli biondi si attaccarono alle guance e cominciai a singhiozzare silenziosamente, sommessamente.
La cornetta del telefono fisso pendeva ancora nel vuoto sulla mia testa.
Gli altri neanche si accorsero di me, o almeno non subito.
So solo che rimasi a guardare la porta sperando che mio padre entrasse dicendo ad alta voce "sono a casa!"per poi abbracciarmi.
Ma così non accadde...
A seguito della sua morte seguirono numerose pratiche burocratiche e legali.
La mia matrigna ottenne l'eredità di mio padre, ma nel testamento vi era una piccola clausola alquanto scomoda per la vedova ovvero il mio affidamento a lei.
Essendosi sposata aveva acquisito l'intero pacchetto, me compresa.
Solo qualche mese dopo il funerale Janet e Sheril si appropriarono anche della mia stanza e io fui sistemata nel piano interrato.
Mary si era giustificata dicendo: "vederti e averti così vicina alla mia camera mi fa pensare al tuo amato papà e questo mi fa soffrire tanto. Fortunatamente la cantina è ristrutturata e potrai avere tutto il piano per te".
Cosa poteva pensare una bambina di tutto ciò?
Di certo non si sarebbe mai aspettata di finire con una brandina nel sottoscala della cantina.
Per intenderci mi ritrovavo in quello che una volta era il ripostiglio....
Tuttavia passarono gli anni e io continuai a fare buon viso a cattivo gioco.

Non che potessi fare altrimenti. Avevo provato a ribellarmi da piccola, ma ne ero uscita solo più devastata.

Intanto le due oche vennero iscritte dalla madre in un istituto privato molto prestigioso, ma vennero bocciate e cacciate da quel liceo a causa del loro Q.I (quoziente intellettivo) minore agli standard richiesti.
Penso fosse un modo più carino e forbito per dire che erano due idiote.
Vennero successivamente mandate, insieme a me e al loro fratello Edward, in una scuola pubblica.
Purtroppo il ragazzo venne smistato in corsi con orari differenti, mentre per mia grandissima sfortuna noi ragazze finimmo insieme.

Sembrava quasi che mi perseguitassero.

Io e loro eravamo completamente differenti e non solo fisicamente ma anche caratterialmente.
Io ero studiosa, introversa e diligente.
Non avevo un bel rapporto con il mio corpo e le gemelle o Mary di certo non erano d'aiuto, anzi avevano praticamente fatto a pezzi quel briciolo di autostima che avevo. Non c'era da stupirsi del fatto che indossassi spesso vestiti larghi e solitamente di seconda mano.
Ovviamente per completare il look non potevano mancare i miei occhialoni da perfetta miope quale sono.
Tra i vari nomignoli che mi avevano affibbiato forse quello più fastidioso non era tanto "quattrocchi sfigata" ma più quello di "secchiona asociale". Da quando andare bene a scuola e avere una passione per la lettura si considera una cosa abbominevole e un inutile spreco di tempo?
Semplicemente mi piaceva leggere; lo facevo con mio padre e avevo continuato a farlo nella mia stanzina, e poi avere ottimi voti almeno mi gratificava.
Loro invece erano le solite ragazze che si credono chissà chi solo perchè hanno le borsette e i vestitini firmati.
Per comprendere meglio i soggetti erano quelle che mi rifilavano i loro compiti per andare a fare shopping con le amiche. Così non solo dovevo fare 3 temi e 3 volte gli stessi esercizi, ma mi ritrovavo anche isolata da tutto e da tutti.
Il mio unico amico?
Un peluche a forma di unicorno di quando ero piccola e se contiamo le persone reali...mio fratello.

Che vita da sfigata, vero?

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Spero che questo racconto vi piaccia e che vi possa strappare un sorriso.
Buona lettura!

Cercasi Principe AzzurroWhere stories live. Discover now