Capitolo 19

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Quella sera tornammo a casa più complici di quanto non lo fossimo mai stati. Io gli avevo donato un pezzetto del mio cuore, raccontandogli una delle parti più importanti e più difficili della mia vita, e lui sembrò apprezzare particolarmente questa cosa. Mentre parlavo, mi teneva la mano e mi guardava attentamente, pesando ogni minima parla che aveva intenzione di dire. Non dormimmo nella stessa stanza, non volevo turbare i miei e ci salutammo sul ciglio della mia stanza da letto, dove Simone mi diede un bacio in fronte, pieno di affetto.
Il giorno dopo, mia madre ci fece trovare una colazione abbondantissima in sala da pranzo, come era solita fare quando avevamo ospiti.
Ci preparammo in poco tempo e poi iniziammo a fare un bel giro del paesino, a bordo della mia cinquecento gialla, auto che mi avevano regalato i miei come regalo dopo l'esame di maturità.
Lo portai a conoscere i pochi componenti della mia famiglia, gli mostrai alcuni dei miei posti preferiti, come il bar del mio ormai amico Francesco e gli edifici scolastici che avevo frequentato.

"Ora ti porto in uno dei posti più importanti in assoluto. Sei pronto? Sarà un ambiente nuovo per te."

"A meno che non mi porti in piscina, sono pronto. Non sono molto bravo a nuotare, non vorrei farti fare brutta figura." Disse, con la luce del sole che gli illuminava il viso all'interno dell'auto.

Parcheggiai l'auto di fronte ad un grande edificio rosso e bianco, poi scesi e feci segno al ragazzo di seguirmi. Dopo di che, guardai l'orologio e sorrisi. Erano le quattro di pomeriggio, un orario perfetto. Avevamo trascorso tutto il giorno in giro e avevamo pranzato al volo a casa di mia zia, che ci aveva rimpinzati per bene. Spinsi la porta d'ingresso e subito mi travolse un profumo intenso, che mi era tanto familiare. Mi fermai e chiusi gli occhi. Poi sorrisi e guardai Simone.

"Ma mi hai portato in una palestra! Come se non ci passassi già abbastanza tempo." Era divertito.

"Non è una palestra qualunque, è stata casa mia per ben tredici anni. Vieni, ti faccio vedere." Ero elettrizzata, volevo spiegargli tutto. Fortunatamente l'edificio era deserto, tutti sarebbero arrivati un'ora dopo, quindi avremmo avuto tutto il tempo per fare un giro tranquillo.

"Questo era il nostro spogliatoio. Dio, quante ne abbiamo passate qui dentro, io e le mie compagne di squadra. Guarda qui, questo l'ho scritto io quando abbiamo vinto il campionato regionale."

Avevo gli occhi che mi brillavano. Non entravo lì dentro da anni ormai. Iniziai a mostrare a Simone tutte le scritte sulle panche e a raccontagli vari aneddoti accaduti tra quelle mura. Poi lo guidai verso la palestra principale, passando per quelle più piccole posizionate ai lati dell'edificio. Non era cambiato quasi niente. Il pavimento era stato rimodernato, ma era sempre lo stesso. C'era qualche striscione pubblicitario in più, ma la rete era sempre lì. Sempre la stessa. Mi avvicinai e la sfiorai. Quanto mi mancava tutto questo.

"Da quant'è che non prendi un pallone in mano?"

"Cosa?" Ero talmente assorta nei miei pensieri, che quasi mi dimenticai di non essere sola.

"Ti ho chiesto da quanto tempo hai smesso di giocare."

"Ho smesso esattamente quattro anni fa e sono quattro anni che non tocco un pallone da pallavolo."

Il suo viso si fece pensieroso. Aveva capito il motivo per cui smisi di giocare, o almeno l'aveva intuito, perché non mi fece domande.
Dopo un po' sentimmo sbattere la porta principale e immediatamente sentimmo dei passi avvicinarsi verso la porta della palestra.

"Non ci posso credere. Sei proprio tu! Iris, fatti abbracciare." Era Marco, il mio vecchio allenatore. Non lo vedevo da tantissimo tempo, precisamente da quando mollai tutto per trasferirmi a Lecce.

"Non pensavo che ti avrei più rivista in questo posto, ma sono contento che tu sia qui. Le ragazzine saranno qui a minuti, quest'anno alleno solo l'Under 18. Puoi rimanere a vedere l'allenamento se ti va, può rimanere anche il tuo amico. Piacere, io sono Marco."

"Piacere mio, sono Simone."

"Mi sembra di averti già visto da qualche parte. Giochi in qualche campionato pugliese?"

"Pugliese non proprio, ma diciamo che ogni tanto anche io gioco a pallavolo." Si girò verso di me e mi fece l'occhiolino. Che scemo.

"Marco lascialo perdere, lui gioca a pallavolo in modo professionistico, ma è troppo modesto per ammetterlo. Sicuramente l'hai già visto, perché lui è Simone Giannelli, il palleggiatore di Trento e della Nazionale."

"Oh, mio Dio. Ma è vero! Che vergogna, devi scusarmi. E' un onore averti qui."

Ci fermammo a parlare con Marco per circa quindici minuti, fino a quando non entrarono in palestra le ragazzine che avrebbero dovuto allenarsi. Ovviamente quasi tutte riconobbero Simone, impazzirono per qualche secondo, scattarono con lui varie foto e poi Simone accettò la proposta dell'allenatore di aiutarlo durante l'allenamento odierno.

"Dai, rimani in campo anche tu. Sarà divertente."

"No, Simo, grazie. Non riesco proprio. Però mi siedo lì, sugli spalti. Sarà divertente guardare le ragazzine mentre tentano di rimanere concentrate mentre ci sei tu in campo con loro. Insomma, è difficile persino per me rimanere concentrata in tua presenza, anche se devo semplicemente mangiare."

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"E' stata davvero un'emozione fortissima vederti in campo, nel mio campo. Ti ho praticamente fatto il servizio fotografico, devo necessariamente inviare qualche foto a Roberta."

Stavamo mangiando la pizza nel mio locale preferito e abituale del mio paesello.

"Beh, dovevo trovare il modo di allenarmi anche in vacanza, no? Altrimenti non avrei potuto mangiare la pizza stasera. Brava, avevi calcolato tutto, eh?"

"Stai per caso insinuando che io invece non potrei mangiarla, visto non ho fatto niente, se non starmene seduta?" Dissi, con fare offeso ma scherzoso.

"Dico solamente che secondo me dovresti tornare in campo. O quantomeno provarci."

Stavo per controbattere, quando venimmo interrotti da una ragazza che si avvicinò al nostro tavolo.

"Iris, ma sei proprio tu! Che sorpresa, non ci vediamo da tantissimo tempo."

Non mi sarei mai aspettata di incontrarla. "Ciao Ro, mi fa davvero piacere vederti." Dissi con un sorriso.

"Come stai? Ho saputo che vivi a Lecce." Scambiammo qualche frase qua e là, sembravo distaccata ma ero veramente felice di averla incontrata. Si vedeva che entrambe nutrivamo un affetto sincero nei confronti dell'altra. Prima che andasse via, le presentai Simone, il quale, confuso, non si intimidì nel chiacchierare qualche minuto con la ragazza. Dopo circa dieci minuti, andò via.

"Chi era quella ragazza? E' molto simpatica, sembrate molto in confidenza."

"Rossana. E', o meglio era, la ragazza mi mio fratello." E dopo aver pronunciato quell'ultima frase, mi fece capire anche questa volta, senza dire niente, la sua vicinanza e il suo affetto in quel momento.

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