Capitolo 33

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Avevo bisogno di un po' tempo per me stessa, di un po' di  tempo per rendermi conto dell'accaduto. Sono le 2:37 di notte e io sono chiusa in bagno. Non riesco a chiudere occhio, cosa che mi capita spesso, ultimamente. Sono seduta sul pavimento, con la schiena appoggiata al muro e sto fissando intensamente la mia mano, che d'ora in poi avrà un nuovo ornamento. E' un brillantino non molto evidente, ma abbastanza luminoso, posato sull'anulare della mano sinistra. Ebbene sì, ho accettato di sposare Francesco. Perché l'hai fatto, vi starete chiedendo? Beh, non so rispondere nemmeno io a questa semplice e diretta domanda. Quando sono tornata a casa di corsa, ieri sera, non mi aspettavo di certo di trovarmi in quella situazione. Ero tornata a casa di fretta per parlare Francesco, per esternargli i miei sentimenti e per mettere le cose in chiaro, una volta per tutte. Dirgli che lo amavo e che volevo trascorrere tutta la mia vita con lui, lasciando andare per sempre Simone? No, non proprio. Anzi, esattamente il contrario. Vedete, incontrare Simone è stata per me come una boccata d'aria fresca: non ha fatto bene solo a lui, ma anche e soprattutto a me. Non credo di aver mai dimenticato quel ragazzo, non credo di essere pronta a farlo e penso che mai lo sarò. Allora perché ho accettato di sposare Francesco? Bella domanda. Ho trascorso gli ultimi quattro anni nella speranza di incontrare Simone in ogni angolo della mia città, in ogni attimo della mia vita. Ma così non è stato. Quindi sono andata avanti, passo dopo passo, con l'aiuto delle persone che mi vogliono bene e Francesco fa parte di queste. Lui mi ha incontrata in un momento di debolezza e io mi sono lasciata cullare da lui, dalle sue sicurezze e dalla sua dolcezza. E' un ragazzo perfetto, ma non è il mio ragazzo. Eppure, ieri sera non sono riuscita a rifiutare la sua proposta. Non ci sono riuscita perché non posso fargli del male. Non posso ferirlo, non io.
Roberta mi aveva chiesto di lasciare a casa il cervello e di ragionare con il cuore, una volta tanto. Ma purtroppo non sono riuscita a farlo e ora mi ritrovo con un anello di fidanzamento al dito, regalo di una persona a cui voglio un bene dell'anima, ma che non amo. Ecco, l'ho detto. Io non lo amo. Ma, ormai, è troppo tardi.

"Ehi, buongiorno. Ma hai dormito stanotte? Non hai una bella cera."

"In effetti no, non ho dormito per niente. Troppi pensieri per la testa." Faccio un sorriso forzato alla mia collega e mi dirigo verso la mia scrivania. Questi pensieri ormai non mi abbandonano e continuo a lavorare, abbastanza a rilento, per poter finire velocemente il lavoro previsto per la giornata e quindi per poter tornare a casa il prima possibile.

"Ehm..." La mia attenzione viene richiamata da qualche schiamazzo e da alcuni colpi di tosse. Alzo la testa e mi ritrovo davanti, appoggiate alla mia scrivania, tre delle mie colleghe, intente a fissami, sorridenti e ammiccanti.

"Per caso devi dirci qualcosa?" A quanto pare, la mia faccia si fa interrogativa, perché Camilla alza gli occhi al cielo, accompagnata da Valeria, che fa un gesto con la mano.

"Ci spieghi come fai a far finta di niente e a pensare di farla franca, con quel brillante che ti ritrovi al dito?"

Fantastico, avevo appena preso una pausa da questo chiodo fisso che mi perseguita, che ecco che qualcuno mi riporta alla realtà.

"Qualcuno si sposa, vero? Auguri, tesoro! Vorrei tanto anche io un fidanzato perfetto come il tuo. Sei una ragazza molto fortunata."  Ah, sì? Lo sono?

Iniziano così ad abbracciarmi e a farmi le congratulazioni: praticamente l'ultima delle cose che avrei desiderato in questo momento.

"Ma che ci fai ancora in ufficio? Dovresti raggiungere Francesco e festeggiare con lui! Dai, qui ti copriamo noi." Oh, la prima vera buona notizia della giornata. Non me lo faccio ripetere due volte, afferro la giacca e la borsa e corro verso l'uscita.

"Grazie ragazze, mi ci voleva proprio!" – "Ci devi un favore, non te ne dimenticare!"

E così eccomi in auto, non la prendevo da un po' di tempo. Ultimamente ho preso l'abitudine di andare sempre a piedi, ovunque. Ma non ho ancora dimenticato come si guida, fortunatamente. Accendo la radio per scacciare via i pensieri che mi tormentano e riesco a beccare la giusta frequenza, cosa che non mi capita così spesso, vista la mia sfortuna perenne. Inizio perfino a canticchiare, chi l'avrebbe mai detto. Dopo un po', arrivo a destinazione. Non ho impiegato molto tempo, anche perché non ho incontrato nemmeno troppo traffico. Sono le 13:00, chi vuoi che prenda l'auto a quest'ora, con questo caldo? Dopo qualche tentativo, parcheggio l'auto e vi rimango dentro per circa due minuti. Mi guardo nello specchietto e tento di rendermi quantomeno presentabile: devo farlo per rendere credibile il discorso che dovrò fare di lì a poco. Purtroppo non c'è molto che possa fare, sono veramente un cadavere che cammina. Quindi lascio perdere e apro lo sportello, recandomi all'ingresso. Cerco il nome sul citofono e premo il tasto in corrispondenza, attendendo che qualcuno venga a rispondere.

"Sì, chi è?"

"Ehm... sono io." E sento scattare il meccanismo del protone principale, permettendomi così di accedere al palazzo. Salgo le scale molto lentamente e, una volta arrivata a destinazione, entro in casa, senza troppi indugi. Mi chiudo la porta alle spalle e dalla cucina, qualcuno mi saluta.

"Ehi, ciao! Non ti aspettavo, sei uscita prima da lavoro? Fortuna che mi hai beccato, perché stavo uscendo per andare a prendere un caffè con Luca. Non credevo dovessi..."

Mentre parla, si avvicina man mano verso di me e, quando siamo faccia a faccia, mi guarda. In mano aveva dei cd, che gli cadono immediatamente dalle mani.

"Iris, tu... Che ci fai qui?"

"Ciao, Simo."

Cosa rimane di noiWhere stories live. Discover now