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Seduto in quel comodo divano di pelle bianca con la ferita che continuava ad uscire gocce di sangue

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Seduto in quel comodo divano di pelle bianca con la ferita che continuava ad uscire gocce di sangue.
Sentí una mano appoggiarsi alla spalla.....

Era lei.

«Tieni. Questa camicia era di mio padre, spero non ti dispiaccia. Se hai bisogno del bagno è nel secondo piano a sinistra, la prima porta.» gli porse una camicia nera e gli diede le indicazioni del bagno.

Il suo sorriso, una parola: "raggiante".
Somigliava a un angelo dalle piume bianche.

Jimin, poco convinto, prese la camicia, senza dir niente, camminò verso il bagno e si chiuse dentro facendo un grande sospiro di sollievo. Almeno era fuori pericolo...forse.

Tolse la camicia sporca di sangue e la sciarpa rossa della ragazza e indossò l'altra pulita e da quel che aveva capito era del padre della sua salvatrice.

Si guardò allo specchio: non era più se stesso, inteso mentalmente, il resto era uguale come prima. Ma era cambiato.

«Sono solo un mostro.» si guardò la mano per poi formare un pugno, guardò di nuovo lo specchio e si accorse che aveva ancora la collana che lei gli aveva regalato per il loro amore....erano tutte menzogne!
Era come un sogno e solo successivamente realizzi che tu sei nell'incubo.

Quando era ancora rinchiuso in quel laboratorio, si chiedeva il perché non poteva dimenticare la sua ex ragazza, ormai lei non lo riconosceva più, anzi gettò la sua collana e l'aveva lasciato senza un preciso motivo, anzi l'aveva detto, ma non era giustificata.

Gli scese una lacrima, ma subito la asciugò con il palmo della mano.
Non poteva essere debole.

Sentì bussare alla porta del bagno, in cui Jimin si era rinchiuso dentro con segretezza.

«Hai finito?» chiese la ragazza con la sua voce dolce come lo zucchero filato.

Aprì la porta e la vide per bene il viso: era dolcissima.

«Vedo che ti sta bene la camicia.» lo scrutò per bene notando che stava a pennello.

«Ah vero! ti devo medicare.» affermò facendo vedere la valigetta del pronto soccorso in mano, pronta ad aprirla e cominciare con l'opera.

Il ragazzo restò impalato a fissarla incredulo. Pensando se fosse stato salvato da un angelo buono o forse non era ancora sicuro. In questo momento era difficile fidarsi di una persona sconosciuta.

«Dai vieni.» lo prese per mano sorridendogli portandolo nel salotto di prima.

Erano seduti sul divano confortevole, mentre la ragazza sconosciuta medicava il braccio ferito di Jimin.

«Da dove vieni?» chiese la ragazza mentre lo medicava con il cotone.
Non rispose, rimase in silenzio con la testa abbassata.
La ragazza sorrise, anche se non era un ragazzo con tante parole.
«Be se non vuoi dirmelo, almeno presentiamoci. Prima domanda: come ti chiami? Questo puoi dirmelo.» disse di nuovo la ragazza sorridendo.
Rimase ancora in silenzio.
«Ti ricordo che vivremo insieme. Questa sarà anche la tua casa d'ora in poi, ma devi dirmi almeno il tuo nome.» spiegò la ragazza gettando il cotone sporco di sangue per poi prendere una benda per avvolgere la ferita.

Sempre con quel sorriso.

Era curioso di sapere come faceva a sorridere sempre.
«P-Park Jimin.» rispose finalmente alla domanda.

Tagliò la benda e ci fece un fiocco.
«Bene! Io sono Kim Min-Young.» fece il cenno della mano come per salutarlo, ma Jimin restò fermo a fissarla stranito.
«Non é che sei alieno e non sai come si salutano gli umani?» fece una battuta.

Allungò la sua di mano e strinse quella della ragazza...
Sentì di nuovo quel calore...
«Adesso siamo amici.»
«Amici?» chiese quasi sussurando, infatti Min-Young non sentì.
«Che cosa vuoi mangiare Jimin? Ti vano bene i ramen cucinati in casa?» chiese la giovane prendendo una pentola.
«S-sì.»

Intanto che si cuoceva, Min-Young andò di sopra in bagno.

Vide la camicia bianca sporca di sangue di Jimin e la sciarpa rossa.
«Chissà cosa gli é successo.» chiese tra se a se. Fece un sospiro, e pensò che era meglio non impicciarsi nei suoi affari, se non fosse stato lui a dirlo.

Prese la camicia e lo mise nella lavatrice. Scese le scale con la sciarpa in mano.
«Jimin....» chiamò ma non finì la parola che vide il ragazzo nei fornelli con il mestolo in mano che controllava la pentola.
«Stava per bruciare.» disse in modo indifferente.
«Oh, che sbadata!» si grattò la nuca dall'imbarazzo.
«Lascia pure tutto a me....vieni un momento qua.» disse Min-Young facendogli un cenno con la mano.

Lui senza esitare o dire qualcosa, si avvicinò a lei.
«Fa freddo quindi mettiti questo Jimin.» gli avvolse un'altra volta la sciarpa rossa al collo.
Jimin rimase incantato dal suo gesto e dalla sua gentilezza.
«G-grazie.» disse balbettando.

Questo momento fu interrotto dalla pentola che usciva bolle.
«Ahhh! La pentola!» urló e corse veloce a spegnere il fornello.
«Ahia!» si bruciò alla mano.
«Stai bene?» chiese Jimin correndo velocemente da lei e prendendole le mani per controllare se era tutto apposto.

Min-Young restò a guardare Jimin mentre si preoccupava per lei, era davvero dolce, ma anche molto misterioso.
«Non preoccuparti, sto bene. Non mi fa male. Adesso preparo tutto, vai pure a sederti in salotto.» disse la ragazza.
«Ehm sì.» rispose secco e andò a sedersi a tavola.

Dopo cinque minuti arrivò Min-Young con un vassoio in mano.
«Ecco qui! Scusa se ti ho fatto aspettare tanto. Immagino che avrai tanto fame.» diede la porzione più grande a Jimin, mentre quella un po' di meno se lo prese lei.

«Su mangia.» gli diede le bacchette.
Assaggiò il ramen e per una volta si sentì davvero quando era ancora umano.
«Buono?» chiese la ragazza mentre mangia.
Lui annuì continuando a mangiare e piangendo silenziosamente.

La giovane ragazza sentí i suoi pianti e smise subito di mangiare appoggiando le bacchette sul tavolo.
«Jimin? Perché piangi?» chiese avvicinandosi a lui.
Non rispose
«Dai non piangere. Se ti va puoi parlarne con me, ma se non vuoi va bene così.» lo abbracciò e Jimin affondò la testa sul petto della ragazza.
«Senti Jimin, ho capito una parte della tua vita. Immagino che per un po' di tempo ti sei sentito molto solo senza nessuno che ti considerasse, senza i tuoi genitori. Lo ero anch'io, credimi. Ma come vedi sorrido ancora nonostante le persone più importanti a me non ci siano più.» consolò il ragazzo ancora tra le sue braccia.
«Tu non sai, ma io sono un mostro.» rispose tra le lacrime.
«Hai per caso ucciso qualcuno o qualcosa così?» chiese seria senza nessuna paura.
«No»
«Allora non sei un mostro, sei una persona, perché hai cuore.» disse Min-Young asciugandogli le lacrime con il palmo della mano.
«Su su non piangere. Un bel ragazzo forte e coraggioso come te si rovina piangendo.» lo consoló.
«Io sono diverso.» disse di nuovo Jimin.
«Hai per caso il cervello al posto dello stomaco?» chiese di nuovo.
«No, ma....» non finí di rispondere che lei gli rispose in fretta.
«Allora non sei diverso. Dai mangia che dopo dobbiamo dormire.» disse sorridendogli.

Si staccarono dall'abbraccio, finendo di mangiare.

«Tu d'ora in poi dormirai nella camera dei miei genitori affianco al mio, ok? Sul letto c'è anche il pigiama, e hai anche il bagno compreso nella camera.» disse dopo aver lavato i piatti.
«Non credo che sia giusto nei tuoi confronti.» rispose Jimin abbassando lo sguardo.
«Non dire sciocchezze! Dai vai nella tua nuova stanza a cambiarti.» lo spinse per farlo entrare e alla fine c'è la fece

Ormai i due giovani dormivano, mentre la neve cadeva di notte, ma il tempo cambiò del tutto.
Cominciò ad arrivare la pioggia e temporali forti da far paura.

Jimin che si era addormentato beato, si svegliò di colpo sentendo i tuoni, cominciò a sudare e ad innervosirsi stringendo la coperta con molta paura.
Aveva paura dei tuoni e tempeste perché gli facevano ricordare il giorno in cui era stato catturato dai scienziati che lo hanno trasformato in un mostro.
Pianse sotto le coperte, con la testa appoggiata alle gambe e le braccia allacciate alle gambe.

Min-Young sentì il pianto e si svegliò .
«Chi sta piangendo?» disse assonnata e si strofinò un occhio.

Si alzò dal letto e andò a controllare.

ʸᵒᵘ'ʳᵉ ⁿᵒᵗ ᵃ ᵐᵒⁿˢᵗᵉʳ ✓Where stories live. Discover now