Capitolo 9

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"Il parto non è questione di spingere, ed espellere il bambino, ma di cedere e arrendersi all'energia della nascita".

Marie Reid  

Hayden, Idaho, 1997.

La strada secondaria era completamente deserta. All'ora di pranzo, di domenica, in una via immersa nel bosco, non era facile trovare qualche altra macchina.

«Dovresti accelerare», grugnì Bridget sudata e sofferente.

«E tu dovresti fare quegli esercizi di respirazione che ti hanno insegnato al corso preparto».

Nick sembrava tranquillo, con la situazione completamente sotto controllo, ma la verità era che aveva una paura matta.

Quando Bridget urlò dal dolore, per l'ennesima contrazione, sobbalzò dallo spavento e si morse un labbro per non gridare anche lui.

Lanciava occhiate nella sua direzione ogni paio di secondi, pregando il cielo che il bambino non nascesse proprio lì, in mezzo al nulla.

«Pensa solo a guidare e spingi quel piede sull'acceleratore, dannazione», sbraitò lei, massaggiandosi il ventre e sforzandosi di non imprecare.

Nick sapeva che non era facile per lei, che stava soffrendo tanto e allo stesso tempo aveva paura quanto lui.

Per questo non le fece notare quanto fosse irruenta, e prepotente.

In fondo Nick non avrebbe mai potuto provare tutto il dolore che stava sopportando lei. E probabilmente non sarebbe stato in grado di resistere.

Dei due, era senz'altro Bridget era la più forte.

«Respira, Bri, respira. Fuori, dentro, fuori, dentro...», cercò di imitare la tecnica che avevano visto al corso.

Ma il suo tentativo di aiuto passò per saccenza alle orecchie della ragazza.

«Respira tu come un asmatico, se ti piace tanto».

Nick stava per aggiungere qualche dolce parola di conforto, quando un urlo di dolore squarciò il silenzio.

Non voleva farle notare che il tono di voce si alzava ogni volta di più, ma si limitò a fare come gli aveva ordinato.

Spinse il piede sull'acceleratore e si concentrò solo sulla strada.

Era difficile cercare di evitare la sofferenza di Bridget, e i suoi insulti a tutto il mondo, ma il suo unico compito era quello di portarla in ospedale in tempo.

E poi, quando pensava che tutto sarebbe andato per il meglio, dal cofano della vecchia macchina di suo padre iniziò ad uscire una colonna di fumo.

Prima solo un accenno ma in pochi secondi oscurò tutta la visuale.

Prima ancora che Nick potesse decidere di accostare, il motore della macchina esalò il suo ultimo respiro e lì lasciò a piedi.

«Che diavolo è successo?» chiese Bridget, tra un respiro corto e l'altro.

«Non lo so, vado a vedere».

Non rimase nella macchina a lungo per poterla sentire bisbigliare impropri rivolti al cielo.

Scese e andò a dare un'occhiata al motore. Non se ne intendeva molto di macchine ma non appena aprì il cofano capì che c'era ben poco da fare.

Quasi non aveva il coraggio di tornare indietro e riferire la brutta notizia. Ma invece di perdersi d'animo, si mostrò davanti a Bridget fiducioso e con il pieno controllo tra le mani.

«Passami il tuo telefono, devo chiamare l'ambulanza», le indicò l'apparecchio, allungando la mano dal finestrino, che era posato sul cruscotto.

«Perché? Che cosa succede?»

«Tu passamelo, risolvo tutto io», forse tenerla all'oscuro non era la mossa più intelligente ma voleva evitare di farla stressare ancora di più.

Con un sorriso allegro, quasi stessero per andare a fare una passeggiata, riuscì a convincerla a farsi passare il telefono e si allontanò di qualche passo, verso la strada, per poter parlare. 

Bridget lo osservava con apprensione, continuando a toccarsi la pancia e a respirare lentamente. I dolori aumentavano, diventavano sempre più frequenti e l'idea di essere bloccati nel bel mezzo del nulla non la rassicurava affatto.

Quando poi Nick tornò, la sua espressione contrita e seria non lasciava presagire sulla di buono.

Fece il giro della macchina per passare dalla sua parte e si sporse leggermente per poterla guardare in faccia.

«Purtroppo c'è solo un'ambulanza disponibile e non sarà qui se non fra trenta minuti. E l'auto è andata».

Sapeva che ciò che stava dicendo avrebbe mandato al manicomio Bridget, per questo si affrettò a dire: «Ma non preoccuparti, andrà tutto bene».

Aprì la portiera e la invitò a scendere: «Passa sul sedile posteriore, stenditi e cerca di rilassarti».

Bridget si fece aiutare ad alzarsi e a sistemarsi dietro, sdraiata quasi del tutto.

Paonazza in volto, sudata e affaticata, stringeva i denti e gridava ad ogni contrazione.

«Nick, non posso partorire qui... Io voglio andare in ospedale».

La disperazione le causò anche una crisi di pianto. Non era una ragazza che si lasciava andare alle lacrime facilmente.

Ma assolutamente non poteva permettere che il suo bambino nascesse all'interno di un catorcio che puzzava di bruciato, immersi nel nulla.

E il fatto che Nick fosse tranquillo e sicuro, la faceva innervosire ancora di più.

«Stai tranquilla, se devi partorire adesso vuol dire che è destino», lui si sporgeva verso di lei, tenendole la mano e non si lamentò quando gliela strinse forte.

Non si lasciò intimorire da tutta la situazione. O per meglio dire, se la stava facendo sotto dalla paura ma non voleva farlo notare a Bridget.

Lei era già abbastanza agitata e non voleva peggiorare le cose. «Perchè deve nascere proprio adesso? Non può aspettare che arrivino i soccorsi?»

«Perchè il nostro bambino vuole vedere il mondo, subito», le sorrise Nick, schernendola allegramente.

«È proprio come te», aggiunse Bridget, e non voleva essere un complimento perché continuò: «Entrambi non sapete attendere».

Nonostante il suo tono fosse tutt'altro che allegro, Nick si ritrovò a sorridere. Forse perché sapeva che Bridget aveva ragione.

Da quel momento decise di aprire la bocca solo e unicamente per incoraggiarla e rassicurarla.

Dieci minuti dopo, Bridget portava alla luce una nuova vita, che urlava per farsi sentire dal mondo intero.

Chiuse gli occhi e tirò un lungo sospiro di sollievo, completamente rossa in volto e stanca per lo sforzo.

Quando li riaprì, due secondi dopo, sorrise nell'osservare Nick, intento a calmare il piccolo pargolo che teneva tra le braccia.

Un sorriso sincero, e sognante, attraversava anche il suo viso e quando distolse lo sguardo dalla figlia per poter guardare la ragazza, i due rimasero a fissarsi per lunghi istanti.

In quel momento per Bridget il tempo si fermò. L'unica cosa che riusciva a sentire era il pianto della bambina, che per la prima volta respirava l'aria di Hayden.

L'unico odore era quello del profumo per auto, all'acqua di rose, che aveva comprato per Nick qualche mese prima. Perfino la puzza di bruciato era sparita del tutto dalle sue narici.

L'unica cosa che invece poteva vedere era la pura gioia negli occhi di Nick.

Allungò le braccia, istintivamente, per prendere la piccola e Nick la consegnò senza la minima esitazione, affermando: «Benvenuta, piccola Lily».

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