Capitolo Quarantanove

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HARRY'S POV

Io e la madre di Tessa eravamo arrivati a casa sua da un po' ormai. In auto avevo pensato diverse volte che stesse per vomitare ma incredibilmente eravamo arrivati a destinazione sani e salvi. Le era bastato stendersi qualche minuto in divano per riprendere un colorito normale.

Sicuramente la causa del suo malessere era la stanchezza.

"Come si sente?" Le chiesi passandomi una mano fra i capelli. Sapevo che non avrei dovuto e che non c'era ragione ma mi agitava l'idea di non essere con Tessa.

"Molto meglio, è stato solo un momento" Replicò facendo per tirarsi su a sedere.

"Sicura? Forse dovrebbe rimanere a casa e riposare.." Iniziai ma lei mi guardò come se stessi dicendo delle assurdità.

"Le preparo un the" Le dissi allora prima che potesse replicare in qualche modo, già indirizzato verso la cucina. La signora Marshall non protestò e rimase seduta nel divano ad aspettare. Qualche minuto dopo le portai il the e mi sedetti sulla poltrona del salotto. Sedermi su una superficie non rigida mi fece uno strano effetto.

"E' dura vederla così" Mi disse ad un tratto fissando la tazza. Sussultai nel sentire quelle parole per poi sforzarmi di fare un cenno con il capo e replicare.

"Ogni volta che la guardo su quel letto è come ricevere una pugnalata al cuore" Rivelai per la prima volta. La madre di Tessa mi guardò e sorrise. Mi piaceva parlare con lei, sapevo che capiva come mi sentivo.

Fece per aprire bocca, probabilmente per replicare, ma s'interruppe quando fummo entrambi distratti dal suono del mio telefono. Mi riscossi affrettandomi a recuperarlo da sopra il bancone. Quando vidi il numero di Elia sul display mi sentii male.

-

TESSA'S POV

Quando aprii gli occhi non riuscii a capire immediatamente dove mi trovassi, ci misi un po' a mettere a fuoco le immagini. La luce che entrava dalla finestra mi infastidiva così mi affrettai a socchiuderli. Non potevo tuttavia non notare il ragazzo di fronte a me che, torturandosi le mani, non faceva che parlare. Non mi guardava realmente, forse era troppo concentrato nel suo racconto per farlo.

"Adesso lei sta con Louis, sono felici insieme. Sono davvero contento perché si merita un po' di felicità" Stava dicendo sebbene non capissi di chi stesse parlando o perché me lo stesse raccontando.

Ero sicura però, nonostante la poca lucidità, che si trattasse di Elia. La voce era la sua.

Continuai ad ascoltarlo guardandomi attorno e, dopo un po', riuscii a capire che mi trovavo in ospedale. In un primo momento mi assalì il panico e non capii nulla, delle immagini frammentarie mi tornarono in mente ma non riuscii a darci un senso. Provai ad alzare la testa ma mi sentivo intontita e confusa così non mi mossi.

Ad un tratto Elia si alzò iniziando a camminare avanti e indietro davanti al mio letto. Notai che la mia gamba destra era bloccata da un sostegno collegato al letto. Cercai di non farmi prendere dal panico concentrandomi sul ragazzo vicino a me. Si vedeva che era preoccupato, aveva portato le mani alla testa e si stava scompigliando i capelli. Aveva l'aria di uno che non se la passava molto bene.

"Non parli più?" Gli chiesi sentendo che il suono della mia voce era strano, quasi un sussurro flebile più simile ad un rantolo.

Elia si voltò, bianco in volto, verso di me. Probabilmente non si aspettava una mia risposta perché sembrò leggermente sotto shock. Sorrisi della sua espressione.

"Parli molto lo sai? Però mi piaceva ascoltare" Dissi di nuovo, stavolta le parole erano più chiare e la voce più ferma.

Lui rimase immobile a fissarmi per diversi secondi ancora per poi precipitarsi vicino a me e prendermi la mano.

Absent MindedWhere stories live. Discover now