Quarantatré

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Torino, 6 ottobre 2017

La cosa più fastidiosa del mondo, dopo la ceretta, è la sveglia che suona presto al mattino. Apro un occhio controvoglia, allungo il braccio sul comodino e spengo il cellulare, che non ne vuole sapere di lasciarmi riposare in pace per qualche minuto in più.

Non che io abbia dormito molto in questi giorni, anzi.

Sono ospite a casa Pjanic da domenica sera, da quando Federico ha deciso di dire cose che non doveva. Non me la sono sentita di tornare a casa da sola, dato che papà è di nuovo in America per parlare con dei clienti intrattabili. Il suo lavoro non è mai stato un problema per me, non ne ho mai sofferto. Papà si impegna davvero tantissimo in ciò che fa ed esegue ogni incarico in modo eccellente, ma stavolta il suo capo lo ha mandato a Boston per un periodo di tempo non precisato. Indubbiamente mi manca, ma questo viaggio di lavoro è capitato proprio nel momento migliore: non me la sento di affrontare l'argomento 'Federico' con lui, non dopo averglielo fatto conoscere formalmente e tutto quello che ci siamo detti riguardo alla nostra relazione.

Ho passato la mia settimana cercando di rendermi presentabile per andare in università e frequentare quei pochi corsi obbligatori degli ultimi tre esami che mi mancano. Il professore di economia e management ci ha affidato un progetto da realizzare in piccoli gruppi: io sono capitata con Ludovica ed Edoardo, lei è una ragazza napoletana fuori sede mentre lui vive a Torino da molti anni anche se è originario di Asti. Non ho mai amato i lavori di gruppo perché ho sempre avuto brutte esperienze: mi ritrovavo con persone poco serie che non completavano la loro parte di lavoro e quindi mi riducevo all'ultimo minuto a dover fare il lavoro di tutti per consegnare il progetto. Stavolta invece mi è andata bene perché i miei due compagni sono volenterosi e molto simpatici. Ci siamo spartiti i compiti subito e ci siamo messi al lavoro. Io non devo aver fatto un'ottima impressione perché la lite con Federico è ancora bene impressa nella mia mente, ma la simpatia di Edoardo e il meraviglioso accento napoletano di Ludovica sono riusciti a tirarmi un po' su il morale, almeno in università.

"Buongiorno, raggio di sole" Miralem entra in cucina mentre preparo la colazione e mi da un bacio sulla guancia. Dopo pochi minuti mi sento stringere per la gamba e mi abbasso per incrociare lo sguardo di Edin.

"Bonjour, Olivia" sussurra il piccolo mentre lo prendo in braccio.

"Buongiorno a voi" faccio un sorriso tirato. La mattina è sempre un trauma perché la notte è il mio punto debole. Non riesco a prendere sonno perché i miei pensieri finiscono inevitabilmente su Federico. Continuo a pensare a quella maledetta conversazione e più ci penso meno mi capacito di come possa aver anche solo pensato a una cosa del genere.

"Oggi se non te la senti non venire a Vinovo" propone Miralem, mentre si siede sulla sedia e addenta una fetta di pane con burro e marmellata.

"Non posso non venire solo perché c'è lui" ribatto immediatamente bevendo un sorso di caffè. "Io sono matura, a differenza sua" aggiungo abbassando lo sguardo sul pavimento.

"Oli, mangia qualcosa" Edin mi porge una merendina Pan di Stelle, ma il mio stomaco si rifiuta di mangiare.

"Grazie tesoro, la porto con me in università e la mangio a merenda, okay?" Gli sorrido e gli spettino i capelli, mentre lui scende dalla sedia e mi corre in braccio, gettandomi le braccia al collo.

"Ti voglio bene, zia Oli" sussurra con quella voce sottile contro il mio orecchio, lasciandomi un bacio sulla guancia.

Non so come reagire a questa manifestazione d'affetto, non ero assolutamente pronta a tutto ciò. Mi scende una piccola lacrima solitaria dalla commozione e stringo forte a me quel pasticcino di bambino che mi regala sorrisi genuini anche in un momento così buio.

Fino alla fine || Federico Bernardeschi || [IN REVISIONE 👩🏼‍💻]Where stories live. Discover now