Cinquantaquattro

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Torino, 3 aprile 2018

"La Juventus non è soltanto una squadra di calcio, è una società per azioni quotata in Borsa che viene rappresentata non solo da maglie bianconere dentro al campo di gioco, ma anche e soprattutto da eleganza, mentalità e stile di vita unici."

Leggo e rileggo l'inizio della mia tesi, provando a mettere nero su bianco delle parole che sono soltanto un vortice intricato di pensieri dentro alla mia testa. È presto o forse è tardi, ho perso la cognizione del tempo dato che non sono andata a dormire stanotte, ma sono rimasta in piedi a sdoppiarmi tra spulciare documenti sulla società bianconera e rivedere delle tattiche di gioco in vista del big match di questa sera. 

Fin da piccola ho sempre amato essere indaffarata, fare tante cose, dare il massimo per portare a termine tutti i miei impegni e, già da quando ero bambina, ho sempre voluto avere un lavoro di importanza, che richiedesse fatica e dedizione. Ma ora che mi trovo dentro a questa situazione, mi sembra quasi impossibile uscirne con le mie sole forze. 

È un periodo strano, non mi sono mai sentita così sopraffatta in vita mia e per la prima volta mi sembra di essere ferma in un punto senza riuscire a muovermi. Ci provo, mi sforzo, faccio di tutto per restare a galla ma qualcosa attorno a me mi blocca e non mi permette di concentrarmi al cento per cento su tutto ciò che devo fare. 

Rimango un'altra ora e mezza a fissare lo schermo del computer con scarsi risultati: non aggiungo una parola alle poche che ho già scritto in quest'ultima settimana e mi decido a chiudere tutto e lasciar perdere. Oggi non riesco a concentrarmi, stasera c'è una partita importante e non posso farmi distrarre da altro, nemmeno dall'università. 

Per le vie di Torino si respira un'aria tesa, quasi come se anche i monumenti e le vie sapessero chi sta arrivando nel capoluogo piemontese questa sera. La città è in attesa, un po' come tutti quanti, si sta preparando a mettere in scena uno spettacolo che – a prescindere dal risultato finale – sarà indimenticabile. 

La suoneria del mio telefono mi fa sobbalzare mentre sono concentrata a guardare il paesaggio cittadino dalla finestra. Cammino senza meta per casa mia, provando a capire da dove proviene quel suono fastidioso che non sembra accennare a smettere. Quando finalmente trovo il cellulare sepolto sotto ai cuscini del divano, sospiro nel vedere il nome di Federico lampeggiare sullo schermo. 

"Alleluia, avevo perso le speranze!" non mi saluta nemmeno e lo sento sbuffare pesantemente dall'altra parte del telefono. 

"Scusa, non trovavo il cellulare" mi scuso, accasciandomi con poca grazia sulla poltrona in pelle. 

"È la terza volta che ti chiamo e non rispondi ai messaggi. Cosa dovrei pensare?"

"Non l'ho sentito, ero sovrappensiero, Fede..." mi stropiccio gli occhi sentendo le palpebre improvvisamente pesanti, a quanto pare la stanchezza si sta impossessando di me tutta insieme. 

"Ti va di venire qui da me? Così poi andiamo allo stadio insieme" propone gentilmente con un tono di voce normale, come se avesse già dimenticato il mio essere particolarmente sfuggente in questi ultimi giorni. 

"Sarebbe bello ma non posso. Devo studiare" mi pento immediatamente delle mie parole, dato che sono uscite in modo più sgarbato di quanto volessi. 

"Non insisto, tanto so che è una causa persa. Ci vediamo allo stadio, ciao" sbuffa poco prima di riattaccare, lasciandomi il respiro mozzato per aria. 

Mi sento in colpa per come gli ho risposto, non volevo essere così aggressiva e di sicuro non era mia intenzione farlo arrabbiare. Mi accascio sul divano, mi rannicchio con le ginocchia al petto posizionata su un fianco e chiudo gli occhi, provando a riposarmi per qualche ora prima di andare allo stadio. 

Fino alla fine || Federico Bernardeschi || [IN REVISIONE 👩🏼‍💻]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora