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"My spirit's sleeping
somewhere cold.
Until you find it there
and lead it back home."
― Bring Me to Life, Evanescence

Quella notte i miei pensieri erano troppo rumorosi perchè riuscissi ad addormentarmi. Non facevo altro che pensare a Sean, rimuginando e analizzando tutta quella che era stata la nostra relazione fino a quel momento.

Non avevo mai avuto altri ragazzi prima di lui, forse per paura di aprirmi e rendermi vulnerabile. Eppure Sean era riuscito a buttare giù ogni singolo muro che ergevo, fino a raggiungermi e conquistarmi con il suo sguardo color resina. Gli avevo dato tutto quello che avevo, ma la mia ingenuitá non era riuscita a vedere che per lui non era altro che un gioco.

E alla fine cos'era bastato? Una domanda. Una piccola crepa nel mio palazzo di cristallo era stata sufficiente a farmelo crollare addosso. Avevo dato tutto ad una persona che non mi amava davvero. E non riuscivo a perdonarmelo.

Il mattino seguente il sole non sorse. Una coperta di nuvoloni grigi si stendeva sopra Blazar City fin dove il mio sguardo riuscisse a vedere. Un passerotto saltellava nella strada polverosa proprio davanti alla finestra di camera mia. Rincorreva un rametto bruciato dal sole, spazzato dall'aria, e mi ritrovai a fissarlo.

Ero ancora seduta sul mio letto, circondata dalle coperte stropicciate. Avevo male alla testa per la notte insonne, mentre il rancore pareva un pesante macigno sulle mie spalle e mi impediva di alzarmi.
Sentii bussare alla porta.

Mi schiarii la gola, «Avanti.»

Comparve il viso giovane di mia madre, aveva un'aria preoccupata e fu quel semplice dettaglio a ricordarmi improvvisamente che giorno fosse. Il giorno che avrebbe potuto cambiare la mia vita per sempre. Tra tutti quei pensieri me n'ero quasi dimenticata.

«Sei sveglia allora,» osservò. «Ti senti bene?»

Sembrava dovesse scoppiare a piangere da un momento all'altro. Non avevamo mai parlato di quel giorno, non veramente, e delle conseguenze che avrebbe potuto avere. Ma io sapevo che lo temeva quanto me. Come tutti, alla fine.
Tornai a guardare fuori dalla finestra, cercando il passerotto, ma non lo vidi più.

«Ieri sera io e Sean abbiamo litigato,» ammisi di proposito.

Non volevo pensasse che fossi preoccupata per l'arruolamento. Infatti alle mie parole sospirò, quasi di sollievo.

«Hai voglia di parlarne?»

Scossi la testa, «No.»

Poi mi voltai e le sorrisi, per dimostrarle che tutto sommato stavo bene. Lei ricambiò subito. Decise di non spingere oltre sull'argomento e le fui grata.

«La colazione è pronta,» mi disse.

Aveva la voce tesa. Sapevo che non avremmo potuto fare finta di niente per sempre. Eppure continuavo a sperarci.

Annuii una volta e lei lasciò la mia camera perchè potessi prepararmi.

Il tempo sembrava scorrere inesorabilmente lento e la tensione, in casa mia, sembrava crescere ogni secondo. Nessuno era andato al lavoro quel giorno, si permetteva alle famiglie di restare unite. Mia madre non faceva altro che pulire e lucidare tutte le stanze. Lo faceva per distrarsi e sembrare calma, ma avevo iniziato a non sopportarlo più. Mio padre, nel frattempo, cercava di aiutarla o fingeva di leggere il giornale, il che era ancora peggio.

Non reggendo più quell'atmosfera, ero uscita. Stavo appollaiata sul muro che separava il nostro giardino da quello dei vicini, avevo la schiena appoggiata contro la parete della mia casa, mentre il mio sguardo teneva d'occhio la nostra buca delle lettere accanto alla strada.

KalopsiaWhere stories live. Discover now