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"Now my neck is open wide,
begging for a fist around it.
Already choking on my pride,
so there's no use crying about it."
― Castle, Halsey

Non era un solo elicottero. Erano quattro, e atterrarono tutto attorno a noi, costringendoci ad ammassarci al centro di un quadrato immaginario. Ci guardavamo attorno ancora più spaesati e spaventati, completamente privati di ogni sorta di fiducia verso cosa l'Arma avesse in serbo per noi.

Le pale degli elicotteri rallentarono fino a fermarsi, mentre da ognuno scendeva un equipaggio di due o tre persone in divisa. Udii il rumore di un altro motore avvicinarsi da lontano e presto un nuovo pullman lungo e vuoto si fermò nella strada accanto a noi.

«Soldati, in riga!» gridò una voce maschile in un megafono, sovrastando l'eco dei motori.

Eravamo cinquanta ragazzi sconvolti e totalmente disorganizzati e all'improvviso anche creare una riga parve un compito poco semplice.

«Sapete cos'è un riga?» gridò ancora una volta quella voce minacciosa. «Muovetevi!»

In qualche modo mi ritorvai in piedi tra Aryan e un ragazzo alto due metri e finalmente ebbi una buona visuale su quel che stava accadendo. L'uomo con il megafono era alto quanto me e piuttosto robusto, aveva il volto contratto dall'espressione più minacciosa che avessi mai visto su di una persona.

Era attorniato dagli altri che erano scesi dagli elicotteri, notai molte uniformi diverse da quelle degli ufficiali, e all'improvviso mi sentii di fronte ad una giuria sul punto di decidere in quale cerchione dell'inferno dovessi andare.
Era calato il silenzio.

«Avete superato il test,» esordì con tono ironico. «I miei complimenti.»

Per un attimo mi parve che il suo sguardo si fosse soffermato su di me, ma probabilmente fu solo un'impressione. Si sollevarono delle voci sorprese, anche se timorose. Non tutti avevano capito che l'incidente era stato in realtà il famigerato test.

Riprese con tono serio. «Abbiamo osservato il vostro comportamento, il vostro modo di reagire ad un imprevisto del tutto inaspettato. Siete stati messi faccia a faccia con la paura e il dolore, siete stati spinti al limite perchè solo qui gli esseri umani dimostrano davvero chi sono. Perchè questa è la guerra.» Fece una pausa per lasciare quell'ultima parola nell'aria, poi riprese. «Ognuno di voi è stato di conseguenza assegnato a uno dei quattro eserciti. Raggiungerete le basi questa notte stessa.» Infine si rivolse a due ufficiali che aveva ai suoi lati. «Procedete.»

Stava per voltarsi, quando il suo sguardo arcigno cadde nuovamente su di me o almeno così mi parve nell'oscurità. Continuai a osservarlo finchè non lo vidi girarsi completamente, gli occhi ben fissi nei miei, allora mi resi conto che non mi ero sbagliata.

Decisi di non distogliere lo sguardo: un po' per curiosità, un po' perchè mostrarmi debole non mi parve saggio. Si rivelò presto una pessima idea.

Partì con furia nella mia direzione, a grandi passi, quasi pestando i piedi. Per un attimo pensai stesse per travolgermi, invece si fermò a un passo da me. Con la coda dell'occhio vidi i due ragazzi ai miei fianchi indietreggiare istintivamente. Per qualche motivo i miei piedi restarono incollati a terra. Forse ero troppo stanca per muovermi.

«Che hai da guardare, soldato?» mi urlò in faccia.

Percepii l'attenzione di tutti spostarsi su di me, ma non distolsi lo sguardo. Aveva una brutta cicatrice vicino all'occhio destro e non potei fare a meno di notare che il colore di quell'iride sembrasse più scuro di quella sinistra.

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