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"Sometimes we break so beautiful,
and you know you're not
the only one."
― Wildfire, SYML

Alzarmi all'alba non fu difficile. Avevo trascorso una notte per lo più insonne: ogni volta che mi addormentavo ricadevo in una spirale di incubi in cui qualcuno a cui tenevo se ne andava, senza che potessi fare nulla, spesso in un gioco di luci di fuochi d'artificio. Poi mi svegliavo di colpo, mi ripetevo che non era successo nulla, e mi rigiravo nel letto.

Continuai così finché decisi di non volermi più addormentare e aspettai l'alba, che giunse accompagnata da pensieri opprimenti e immagini che avrei preferito la mia mente non avesse creato.

Mi avvolsi nella mia coperta e abbandonai il dormitorio, come avevo fatto tempo prima, nell'oscurità e nel silenzio delle prime ore del mattino. Raggiunsi il tetto. L'aria era ferma, carica di tensione. L'odore pizzicante del carburante mi raggiunse le narici. Camminai lungo il bordo come una sentinella di guardia, scrutando con attenzione le piste illuminate dalle luci di segnalazione. La falce di luna era cresciuta in una metà grigio brillante come il mio Alphard, mentre un alone rossastro si diffondeva a macchia d'olio all'orizzonte.

Quando i miei occhi trovarono quel che stavo cercando, mi fermai. Erano tutti allineati su due piste parallele, sedici cacciabombardieri dell'Arma uno dietro l'altro, a coppie. Uno stormo di falchi pronti a spiccare il volo. Proprio in quel momento accesero i motori e il rombo ruggente mi raggiunse le orecchie. Mi accovacciai a terra, concentrando meglio lo sguardo. Non ero altro che un'ombra in quell'angolo del tetto, nessuno mi avrebbe mai visto. E solo per qualche istante, avvolta da quell'oscurità, mi sentii al sicuro.

Decollarono due a due, inizialmente solo quattro, e volarono in cerchio sopra la Base per qualche minuto, forse in attesa dell'autorizzazione finale. Le loro sagome nere erano a mala pena riconoscibili contro il blu del cielo ancora notturno: se riuscivo a distinguerle era per lo più grazie alle luci rosse e verdi sulla punta delle ali e bianche sotto la fusoliera. Uscirono poi dal cerchio e proseguirono verso Nord, accelerando. Inaspettatamente, spensero tutte le luci e diventarono un tutt'uno con il cielo. In quel momento ne decollarono altri quattro che subito spensero le luci a loro volta e seguirono i compagni. E via di seguito tutti gli altri.

Li osservai o, meglio, li ascoltai allontanarsi verso le montagne, mentre il giorno nascente colorava le nuvole all'orizzonte in uno spettacolo cromatico che non avrebbe mai smesso di stupirmi. Anche quando i caccia furono spariti, decisi di non andarmene.

Continuai a guardare l'alba, odiandola e amandola, bellissima e irriverente. Perchè comunque sarebbero andate le cose, il sole non avrebbe mai smesso di sorgere.

Dopo aver trascorso la mattinata con Aryan e Polaris, nel primo pomeriggio raggiunsi il parcheggio dove avevo lasciato l'Alphard l'ultima volta, senza alcun vero scopo. Ispezionai visivamente le ruote del carrello e le ali, non perchè fosse necessario, ma perchè avevo bisogno di concentrare la mente su qualcosa di specifico. Era l'unico modo che avevo per tenere le redini dei miei pensieri. Come mi aspettavo, non trovai alcun danno.

Mi arrampicai poi dentro la cabina di pilotaggio e mi sistemai sul sedile senza chiudere il tettuccio. Spolverai la pulsantiera con un panno, studiai ogni tasto e leva come fosse la prima volta che li vedevo e in fine mi lasciai andare contro lo schienale, sospirando, impugnando la cloche e perdendo lo sguardo davanti a me.

Avrei voluto decollare. Da lassù tutti i problemi sembravano così insignificanti. Alzai lo sguardo, immergendomi nell'azzurro. Nonostante tutto, mi dissi, il cielo sarebbe sempre stato là a darmi il benvenuto a casa.

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