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We've all made mistakes.
If you've lost your way
I will leave the light on.
― Leave a Light On, Tom Walker

▪︎

Sollevai le palpebre pesanti solo per ritrovarmi accecata da intense luci di colori diversi, che scomparvero all'improvviso. Poi ricomparvero, solo per spegnersi un'altra volta. E ancora, e ancora.

Sobbalzai. Mi obbligai a inclinare la testa da un lato e notai il paesaggio notturno spostarsi rapido nella mia visuale. Sobbalzai di nuovo. Scorsi la sagoma di qualcuno, udii ancora delle voci. Confuse, agitate. I miei occhi si richiusero e non provai più ad aprirli. Ancora una volta mi abbandonai a quell'oscurità senza sogni.

Quando mi risvegliai per l'ennesima volta non trovai più luci accecanti o strane ombre. Il mio sguardo incontrò invece due famigliari occhi castani, gonfi e arrossati ai bordi, parzialmente nascosti da un ciuffo scuro. Sbattei le ciglia un paio di volte per mettere del tutto a fuoco il suo viso e a quel punto mi sorrise.

“Ciao, Val.”

Mi trovavo in una stanza dalle pareti bianche, riconobbi di essere distesa su un letto e Polaris era seduta di fronte a me, ma non riuscii a scoprire molto di più. Continuai a guardarla, scrutandola in silenzio, imprimendomi i suoi occhi rossi nella mente. A tratti mi ritrovai sull'Alphard. L'allarme anti-collisione mi riecheggiò nella testa, le comunicazioni via radio erano assordanti. Il lampo di luce si manifestò all'improvviso e mi si strinse il cuore, venni pervasa dalla nausea e tutt'a un tratto ogni fibra del mio corpo tornò dolorosamente a farsi sentire. Trasalii, schiudendo le labbra per parlare, ma senza trovare la voce e nemmeno la forza.

Lei scosse la testa con delicatezza e mi sorrise di nuovo.

“Lo so,” mormorò. “Non devi dire nulla.”

No, invece, non lo sapeva. Non sapeva che era colpa mia. Volevo dirle che tutto quanto era successo solo per colpa mia e continuai a guardarla negli occhi, in silenzio, finchè una lacrima calda non mi scivolò lungo il viso fin sul cuscino. Distolse lo sguardo.

“Hai bisogno di riposare,” disse.

La vidi alzarsi e allontanarsi e presto mi trovai di nuovo nell'oscurità.

Trascorsi i seguenti tre giorni in quella stanza bianca e presto scoprii di non essere la sola. C'erano altri due piloti della squadriglia, uno dei quali aveva un'orrenda ferita che gli percorreva il lato destro del volto e una gamba rotta. Io non dovevo avere un'aria molto migliore, ma almeno le mie ossa erano ancora intatte. Non parlai mai con loro e nemmeno provai ad ascoltare le loro chiacchiere sommese. Non ebbi alcuna interazione umana se non con gli infermieri. Di giorno la mia mente si rifiutava di pensare a qualsiasi cosa. Di notte ripercorreva ogni momento della guerra e tutte le volte mi svegliavo sudata, ansimante e con gli occhi pieni di lacrime che cercavano in modo affannato qualcuno che non avrebbero trovato. Ogni sera avevo il terrore di addormentarmi e ogni mattino mi svegliavo in un mondo che non riconoscevo.

Kaiden non si presentò mai. La parte di me che ancora desiderava vedere qualcuno un po' si aspettava di vederlo arrivare, dopo quanto successo, eppure non accadde. E presto quella vaga attesa divenne una preoccupazione. Dopotutto non avevo la certezza di chi fosse effettivamente tornato alla Base. Quando gli infermieri decisero che potevo finalmente tornare nel mio dormitorio, reputandomi in grado di camminare in modo indipendente sulle mie gambe, la prima cosa che decisi fu di andare a cercarlo.

Mi fornirono un'uniforme grigio ardesia nuova. Questa volta una targhetta metallica sulla mia spalla destra riportava il nome Valyrie Wade, sotto lo stemma identificativo dei piloti dell'Arma.

KalopsiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora