Capitolo 37 - Laguna Larga.

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[Quanto è carino il baby Paulo della foto?]
——

Pay attention to the cracked streets
And the broken homes
Some call it slums
Some call it nice
I want to take you through
A wasteland I like to call my home
Welcome to paradise
[Welcome To Paradise, Green Day.]
~~~

Appena misi un piede fuori dall'aeroporto, una folata di caldo mi investì, e mi sentii quasi svenire.

"Ma non era autunno in Argentina?" chiesi a Paulo, che sembrava camminare tranquillamente nel parcheggio dell'aeroporto di Córdoba.
"È un autunno un po' più caldo di quello italiano. Poi quando esce il sole fa quasi caldo come d'estate."
"Me ne sono accorta." mormorai, togliendomi la felpa e legandola alla maniglia del mio trolley.

Salimmo sul primo taxi disponibile, e Paulo mormorò un indirizzo che non io capii all'autista.

Infatti, gli allenamenti di Paulo per la Copa America sarebbero iniziati pochi giorni dopo, ma avevamo circa quattro giornate libere.
Quindi avevamo deciso di andare a Laguna Larga, la cittadina dove lui era nato e cresciuto.

Il viaggio in macchina durò circa un'ora, e rimasi incantata dai paesaggi che scorrevano velocemente fuori dal finestrino.

Passammo in mezzo ai grattacieli di Córdoba, per poi uscire dalla città e addentrarci in quella che era la campagna argentina.
I prati erano quasi tutti secchi e dal color beige, gli alberi erano pochi, e vidi un solo ruscello decisamente vuoto durante l'intero tragitto.

Mano a mano che ci avvicinavamo a Laguna Larga, le strade si facevano sempre più sconnesse e spesso c'erano tratti completamente sterrati. Le poche case che si scorgevano erano apparentemente molto povere, e molto semplici. Erano tutte di colore bianco, o grigiastro e si trovavano nel bel mezzo di campi, spesso quasi del tutto incolti.

Quando scendemmo dal taxi, ci trovammo su una pizzetta con una fontana al centro. Era fatta a mosaico, lo sfondo era rosso e c'erano delle greche decorative di vari colori sgargianti.

Paulo mi fece strada, e camminammo per circa un quarto d'ora. A differenza delle case che avevo visto dall'auto, quelle che superavo passo dopo passo erano tutte colorate. Giallo, verde, azzurro, rosso, arancione, fucsia. Tutti vicini e alternati casualmente.

Vedere tutti quei colori mi mise una tale felicità che presi a sorridere come un'ebete. I murales consumati dal sole erano ben visibili su quasi tutti i muri, e ognuno di essi aveva qualcosa di unico e artisticamente speciale.

"Siamo arrivati." comunicò Paulo, aprendo la porta in legno di una piccola casa di un giallo sgargiante.
"Non so come sia messa, è tanto che vengo qui. Mia madre e la mia famiglia ormai vivono a Córdoba, ma nessuno di noi ha mai avuto il coraggio di vendere questa catapecchia." ridacchiò, facendomi sorridere.

Si entrava in una piccola cucina, i cui pensili erano di un rosso abbastanza scolorito. Alle pareti c'era un color verde acqua, mentre al centro della stanza c'era un tavolo di legno. Paulo mi guidò nella stanza accanto, che era il soggiorno. C'era un divano e un mobiletto con una televisione decisamente datata. Sopra la tv c'erano un paio di foto ingiallite, così mi avvicinai per vederle meglio.

Nella prima c'era una sorridente ragazza dai capelli neri, in un abito bianco di pizzo e al suo fianco c'era un uomo abbastanza alto, che la stringeva a sé con un sorriso spensierato.
Dovevano essere Alicia e Adolfo il giorno del loro matrimonio.

Nell'altra foto c'erano sempre loro due, che si guardavano negli occhi con uno sguardo innamorato. Attaccati ai pantaloni di Adolfo c'erano due bambini abbastanza piccoli, mentre Alicia teneva tra le braccia un neonato.

"Il marmocchio più piccolo sono io." disse Paulo alle mie spalle, rientrando nella stanza dopo aver portato di sopra le valigie.
"Sono due bellissime foto." gli dissi, mentre lui sorrideva tenendo in mano quella del matrimonio dei suoi genitori.

"Si sono conosciuti quando avevano quindici anni. Dopo gli allenamenti, mio padre aiutava nel panificio di famiglia, e un giorno si vide arrivare quella ragazzina che era stata mandata dalla madre a comprare il pane. Si innamorarono, e qualche anno dopo si sposarono. Erano entrambi giovanissimi, mia madre è rimasta incinta di Gustavo a vent'anni. Si sono sempre amati tantissimo." sorrise, rimettendo a posto la fotografia.

Poi scosse la testa, quasi a voler scacciare un qualche ricordo doloroso, e mi prese per mano salendo le scale che ci portarono ad un corridoio che dava accesso a tre porte.

Mi mostrò prima una camera da letto matrimoniale, con un letto e un piccolo armadio in legno, e mi spiegò che fosse la stanza dei suoi genitori. Poi fu il turno di un piccolo bagno, con una vasca vecchia e tante piastrelline dalle fantasie floreali.
Infine, arrivammo ad una stanzetta tinteggiata di azzurro cielo.

"Questa era la mia camera. Beh, mia e dei miei fratelli."
"Ci sono più poster di calciatori che vestiti in questa stanza." mormorai, guardando le pareti tempestate di foto e stampe.

C'era un letto a castello e un letto singolo ed entrambi sembravano entrare alla perfezione in quella camera minuscola, dove c'era anche un armadio incassato dietro la porta.

"Il letto singolo era quello in cui dormivo io. L'avevo preteso a tutti i costi, dicendo che mi spettava di diritto perché ero il più piccolo." rise, per poi sedersi sulla sponda di quel materasso un po' sfondato.
Mi sedetti accanto a lui, e restammo lì per un tempo indefinito, baciandoci e toccandoci.

Quando decidemmo di scendere, Paulo mi mostrò un ultimo posto: il giardinetto sul retro.
"Vedi quel pezzo di muro in cui non c'è l'intonaco?" chiese ed io annuii.
"Lì ho imparato a giocare a calcio. Quella era la nostra porta, e facevamo le gare a chi segnava più spesso. Rompevamo finestre e buttavamo giù le piante di mia mamma." rise,
"Un baby Dybala già iperattivo, chissà perché la cosa non mi stupisce." mormorai.

Quella sera Paulo cucinò le empanadas, e cercò anche di spiegarmi come farle, ma non ebbe grande successo. Poi, dopo cena, uscimmo a fare una passeggiata.

Mi portò in un boschetto, e passai tutto il tempo a chiedergli perché stessimo andando lì, ma lui continuò a ripetere che era una sorpresa.

"Questo era il mio rifugio. Venivo sempre qui quando litigavo con i miei fratelli, o dopo la morte di mio padre." spiegò, quando arrivammo davanti a un piccolo lago con sopra una cascata. In più il colore di quell'acqua era di un blu intenso, con dei riflessi verdi.
"È bellissimo, è stupendo, Paulo." commentai, a bocca aperta.

Poi lo vidi spogliarsi di tutti i vestiti tranne dei boxer, rimasi un po' stupita. Faceva caldo, sì, ma quel laghetto doveva essere ghiacciato, soprattutto perché non ci batteva il sole.
Lui fece il bagno senza curarsi della temperatura, mentre io non entrai, ma rimasi seduta sulla sponda con i piedi a mollo.

Quando furono circa le otto, il cielo si tinse di mille colori. Sfumature rosa, lilla, gialle e arancioni coloravano il cielo di quel piccolo villaggio che già pareva una tavolozza.

Tornammo a casa solo quando ci rendemmo conto che stesse cominciando a fare buio. E camminammo mano nella mano per le strade sterrate di quel paesino dimenticato da tutti, mentre il cielo si faceva sempre più scuro e il nostro amore sempre più grande.


Hello everybody!
Sono super proud di star mantenendo la promessa di pubblicare frequentemente.
Hope you enjoyed the chapter.
Love you all. ♥️
Sofia.

Sólo tú y yo. || Paulo Dybala. Where stories live. Discover now