44. Rimediare?

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"A million dreams", The greatest showman

Mi bastarono come esempio i pochi giorni successivi per capire quanto era brutto veder uscire dalla propria vita una persona in modo così brusco. Come una folata di vento, se ne era andato.

Il paragone era tanto necessario quanto stressante e doloroso. Anche se spesso non nel migliore dei modi, io e Tyler passavamo molto tempo insieme.

Ed era così normale che non gli davo neanche tutto il peso che meritava.

Mi resi conto di quanto avevo bisogno di lui nella mia vita solo quando non potetti averlo più.

Era proprio vero quel detto, cavolo. Ci rendiamo conto dell'importanza di una cosa solo quando non fa più parte della nostra vita. E la cosa più triste era che avevo dovuto starci male per capirlo.

Il passaggio dall'averlo con me a non averlo più era stato troppo veloce. Dopo giorni in cui passavamo tutto il tempo insieme, seguirono giorni in cui, se ci vedevamo a lezione, nei corridoi o in mensa, neanche ci salutavamo.

Faceva male vedere la sua indifferenza quando gli passavo accanto. Sapevo bene, in cuor mio, che stava lottando con tutto se stesso per non incrociare i miei occhi. Era la stessa cosa che stavo facendo io. E la paura mi seguiva ovunque andassi come un'ombra.

Se c'era un motivo per cui avevo voluto che finisse era per quello che aveva fatto. Non potevo accettare che lo cercasse. Era troppo persino per me.

Non capiva che mi faceva stare male? Come faceva a pensare, dopo aver visto come mi riduceva quella paura, a pensare che avrei accettato di sopportarne ancora? A malapena gestivo quella che avevo già.

Non potevo fidarmi di una persona che sapeva a cosa andava incontro quando aveva deciso di iniziare tutto. Clay, ieri a tavola, cercò di spiegarmi che lo faceva per me. Mi disse addirittura di avergli detto che avrebbe pensato lui a tutte le conseguenze.

Ma io sapevo, dentro di me, che non era possibile. Lui non poteva gestirlo. Nessuno poteva. Come pensava di farlo? Se lo avessero mai trovato, che cosa avrebbe fatto? Ci avrebbe parlato civilmente e lo avrebbe portato da me per potermi chiedere scusa?

Non era solo folle. Neppure assurdo. Era totalmente, dolorosamente ed incondizionatamente irrazionale.

" 'Errare è umano. Perdonare è divino' ", disse il professor Beckham durante l'ora di filosofia più lunga della mia vita. "Chi è?"

"Gandhi", tentò un ragazzo dai capelli rossi in prima fila. La classe scoppiò in una risata generale, accompagnata dal professore.

"Apprezzo il tentativo, Jim", gli rispose con un sorriso.

"Alexander Pope. Non mi aspetto che la maggior parte di voi lo conoscano, comunque. Più che filosofo, Pope era un poeta. Ma molti dei suoi estratti io personalmente li considero buoni propositi anche in campo filosofico", ammise in un modo molto impacciato e personale. Normalmente avrei abbozzato un sorriso per la confessione personale di un professore, ma in quel momento era l'unica cosa che avevo voglia di fare.

"Perdono!", esclamò battendo le mani improvvisamente. La maggior parte dei ragazzi saltarono sulle sedie per lo spavento.

Vidi con la coda dell'occhio Tyler sbuffare e chiudere gli occhi.

Non volevo girarmi, ma l'orgoglio non ebbe la meglio in quel caso.

I suoi capelli erano sempre spettinati negli ultimi giorni, e sospettavo se li stesse lasciando crescere, come anche la barba. Man mano che passavano i giorni sembrava più folta.

Non mi toccare 2Where stories live. Discover now