.3

293 15 0
                                    

Natasha sbucò dalla finestra coperta dalla pesante tenda scura e respirò a pieni polmoni l'aria fresca. Sentiva l'odore dell'autunno che le invadeva le narici.

In piedi sul cornicione, Natasha rimase un attimo ferma a fissare davanti a lei, con una mano che stringeva la grondaia e l'altra che stringeva il fianco, dove aveva una ferita fresca della sera prima. 

Lo skyline di Mosca era davanti a lei. Le sarebbe piaciuto visitare la  città, ma sapeva che non l'avrebbe mai fatto come una persona normale. L'unica volta che erano state in una città, lei e le altre allieve si erano esibite in un teatro con un balletto, per far credere alla gente che il KGB fosse davvero una scuola professionale di danza classica. Erano state a San Pietroburgo. Natasha all'epoca aveva cinque anni e non si ricordava nulla.

La bambina, seduta sul tetto in attesa dell'alba, pensava a Viktor e Klara. Erano due frateli che Natasha si era inventata di sana pianta, e attorno a loro aveva costruito una vita. La vita che le sarebbe piaciuto vivere. Nella mente di Natasha, Viktor era due anni più grande di Klara e quest'ultima era coetanea di Natasha, quindi aveva otto anni. Natasha immaginava la loro casa, non enorme ma felice, i loro genitori, la loro scuola, i loro amici...

Un raggio di sole bucò l'orizzonte e Natasha strizzò gli occhi per la luce improvvisa. Le sarebbe piaciuto doversi svegliare per andare a scuola. La mano di sua madre le avrebbe gentilmente scosso una spalla per svegliarla. Allora, controvoglia, si sarebbe recata in cucina, dove l'avrebbe accolta il profumo della caffè appena fatto.

Natasha non conosceva i nomi dei suoi genitori, e non li voleva sapere. L'avevano abbandonata, venduta al KGB. Non comprendeva i motivi, nessuno si era mai dato la pena di dirglieli. Forse per soldi: erano in una situazione economica disperata e si erano rifatti il patrimonio vendendo Natasha al KGB, o forse, semplicemente, la sua nascita era stata indesiderata, inattesa.

Natasha preferiva non pensarci: meglio essere venduta per necessità che indesiderata, no? 

Cosa cambia tanto, tesoro?  Chiese la sua onnipresente coscienza.

-Cambia come mi sento io! - sbottò ad alta voce Natasha, passandosi nervosamente una mano fra i capelli. 

Si accorse che il sole era già quasi completamente sorto. Scattò in piedi e si aggrappò alla grondaia, scivolando giù come fanno i bambini sulla pertica del parco giochi, solo che lei non ci sarebbe mai andata. 

Si infilò nel corridoio, graffiandosi con un chiodo piantato nella finestra e correndo in camerata, scivolando sotto le coperte fredde e consunte. Silenziosa come un gatto fece scivolare le scarpe a terra da sotto le coperte, si sistemò la camicia da notte logora in modo che sembrasse spiegazzata da una notte di sonno e chiuse gli occhi appena in tempo. Un secondo dopo, la porta della camerata si spalancò ed entrò Tat'yana (giuro che esiste davvero come nome), una specie di domestica che svegliava le ragazze, le metteva a dormire, le portava in infermieria quando stavano male e sorvegliava le pulizie.

-Sezione Femmine 8-14, sveglia! - gridò, sbattendo con malagrazia la manona grassoccia sull'interruttore delle luci, che si accesero a fatica con la loro luce lattiginosa.

Tat'yana era una donnona, con i capelli radi sempre legati sotto una cuffietta da domestica, i polsi rozzi  e le caviglie altrettanto rozze. Aveva un modo di fare rude, ma era l'unica che avesse un minimo a cuore la salute delle allieve.

Iniziò a battere il manganello che le avevano dato sulle pareti, per fare rumore e svegliare le poche ragazze che avevano conservato il dono di avere un sonno profondo, ancora prive degli incubi atroci che tormentavano molte delle altre.

In teoria, secondo gli uomini che si occupavano dell'istruzione delle allieve, il manganello doveva essere usato sulle ragazze, ma Natasha non aveva mai visto Tat'yana usarlo su qualcuno.

Si alzò, simulando stanchezza e si infilò la divisa che i professori assunti per dare lezioni teoriche alle allieve avevano voluto, per dare almeno l'idea di un vero istituto. Consisteva in una camicia bianca; quella di Natasha era consunta sui gomiti, un vestito di stoffa così rigida che Natasha faceva fatica a chinarsi e i soliti scarponcini di cuoio, a cui si scollavano le suole almeno una volta a settimana, data la loro vecchiaia.

Guardo l'orologio sulla parete che segnava le sei e mezza. Avevano circa mezz'ora per recarsi nel refettorio, consumare la loro magra colazione e dirigersi nell'aula dove Andrey teneva i corsi teorici di spionaggio e materie varie, tra cui le numerose lingue che delle spie ben addestrate devono conoscere.

Natasha, ancora intenta ad intrecciarsi i capelli, si avviò verso l'uscita della camerata, dato che sapeva che arrivare prima le avrebbe fatto guadagnare una razione più generosa di qualunque cosa fosse quella roba che servivano a colazione.

-Fa' la brava, d'accordo Natalia? - le disse Tat'yana, dandole una pacca sulla spalla.

-Certo. Come sempre - Natasha le rivolse un sorriso e girò al primo angolo, diretta al refettorio. Sulla strada, una delle ragazze più grandi la fermò.

-Tu sei Natalia Romanova? - chiese, scrutandola come se fosse al cospetto di un essere inferiore.

-Sì, e se non ti levi quell'espressione di superiorità dalla faccia, ti ritroverai l'impronta della mia scarpa sulla schiena - replicò Natasha. Aggredire verbalmente le persone era l'unica difesa che le allieva avevano. Tutte in realtà erano in guerra fra loro, a dispetto delle amicizie che cercavano di stringere. Se la loro cosiddetta "migliore amica" fosse stata in pericolo di vita, non ci avrebbero pensato due volte ad ignorarla, per vivere qualche mese in più. 

Era la prima cosa che imparavano al KGB: pensa prima a te stessa, se vuoi salvare la pelle.

-Andrey ti vuole nel suo studio dopo il coprifuoco - disse la ragazza, girando i tacchi ancora prima di aver finito la frase.

-Non ho fatto niente! - esclamò Natasha di riflesso, rivolta al corridoio ormai vuoto.

Di solito, quando Andrey chiamava le allieve nel suo ufficio dopo il coprifuoco era per fornire loro punizioni in più, o...no, era solo per punirle.

Natasha avvertì un brivido salirle su per la schiena. Si strofinò nervosa una mano sui polpacci nudi, improvvisamente coperti da pelle d'oca.

-Non ho fatto nulla - ripeté a bassa voce, cercando disperatamente qualche bravata o rispostaccia data agli insegnanti nei giorni precedenti. 

__

Spazio autrice

Cosa veloce: se mi scrivete un messaggio sulla bacheca come ha fatto GRANDEVANS,
non riuscirò a rispondere, dato che Wattpad ha qualche problema, poverino, e mi dice di te-inviare la mail, nonostante io l'abbia già fatto 3738929201 volte.
Nulla, solo questo.

Byee

~Emma

"I don't judge people on their worst mistakes" - | Natasha Romanoff |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora