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Natasha si puntellò sui gomiti e si guardò intorno. Era da sola nella sala operatoria, il silenzio che le aleggiava intorno era spezzato solo dal monotono ticchettio dell'orologio.

Trovò la forza di piegare il collo e constatò di avere il busto fasciato fin sotto le ascelle da una garza bianca, leggermente macchiata di sangue. Non aveva più i lacci di cuoio che la tenevano legata alla barella. Provò ad alzarsi, ma dalla bocca le uscì un mugolio sommesso di dolore e rinunciò.

In quel momento, il chirurgo entrò nella sala, riponendo i guanti in lattice su una mensola.

-Oh, ti sei svegliata! – commentò guardandola a malapena – le tue scarpe sono lì a terra e i vestiti sono appesi qua dentro – aprì uno sportello che nascondeva un armadio a muro – puoi tornare nella tua camerata, Natalia, ricordati di non fare sforzi fino a venerdì prossimo. Poi torna qui e ti toglierò i punti, intesi?

Natasha annuì debolmente. Il chirurgo si tolse il camice bianco e se lo appese con cura su un braccio, poi uscì nuovamente dalla stanza.

Natasha strinse i denti, cercando di alzarsi senza sforzare troppo gli addominali e rotolò sgraziatamente giù dal lettino. Atterrò sulla moquette vecchia e macchiata di cose che non voleva conoscere con un sommesso "oh".

A tentoni trovò le scarpe e le calze, che erano finite sotto il lettino e se le infilò con le dita che tremavano notevolmente. Fece una fatica del diavolo ad allacciarsi le stringhe, mettendoci una vita e maledicendo in tutte le lingue che conosceva quella maledetta Cerimonia.

Aggrappandosi al bordo del lettino, Natasha si alzò in piedi e barcollò fino all'armadio.

Nell'istante in cui allungò la mano per prendere il suo abito grigio e sgualcito, sentì un tonfo lontano. A lei il rumore giunse molto affievolito, ma doveva essere successo qualcosa di grosso.

-Cosa diavolo... - mormorò infilandosi in fretta il vestito e avvicinandosi all'unica finestra presente nella stanza. Si dovette contorcere non poco per vedere qualcosa dall'angolazione in cui si trovava. Con la coda dell'occhio scorse una nube di fumo innalzarsi pigramente in cielo.

Secondo i suoi calcoli proveniva dal portone principale.

Natasha fece per correre fuori, ma i punti sul ventre si contrassero in maniera dolorosa e per poco non cadde a terra. Si precipitò in fretta vicino ai ripiani della sala operatoria e trovò una scatola di antidolorifici.

Aprì la scatola di cartoncino e le scivolarono in mano tre pillole bianche. Tentennò un attimo, indecisa su quante prenderne.

-Oh, al diavolo – mormorò e si portò alla bocca le pillole, deglutendole tutte insieme.

Corse di nuovo alla finestra e con gesti rapidi la aprì e vi si infilò dentro. Sbucò all'aria fresca. Il vento fu un toccasana per lei. I polmoni di Natasha si dilatarono e lei prese aria. L'antidolorifico cominciava a fare il suo effetto.

Natasha si appese ad una grondaia alla sua destra e da lì si sbilanciò in avanti, gettandosi nel vuoto, per poi atterrare con una capriola sul tetto della palestra, più basso degli altri.

Iniziò a correre verso il portone principale. Per quanto non sentisse il dolore, la ferita stava sanguinando abbondantemente. La garza si stava lentamente inzuppando del liquido rosso bruno.

Ma a Natasha avevano insegnato che il dovere veniva prima di tutto.

Correva imperterrita, ma davanti ai suoi occhi baluginavano lucine verdi.

Non voleva assolutamente svenire. Le gambe le tremavano e sembravano di burro. Percepiva il mondo come se fosse stata in un'altra dimensione.

Spiccò un salto e atterrò con un'altra capriola esattamente davanti al portone principale.

Era sfondato, con colonne di fumo che si alzavano dalle macerie ardenti. Natasha si precipitò all'interno, portandosi una mano alla cintola. Ma invece di trovare una pistola, quando si guardò la mano, vide una consistente macchia di sangue.

-Oddio – mormorò. Fece del suo meglio per stringere la fasciatura, con le mani che tremavano a causa di tutto il sangue che stava perdendo.

-Ehy! – era una voce secca che proveniva dall'oscurità dell'atrio davanti a lei.

-Chi c'è? – gridò allarmata, aguzzando la vista-

Colui che aveva parlato fece qualche passo avanti e Natasha lo vide chiaramente. Era un ragazzo non molto più grande di lei, con i capelli quasi biondi e completamente vestito di nero. Impugnava un arco che puntava contro la rossa.

-Tu sei Natasha Romanoff – disse in un sussurrò Clint – la Vedova Nera.

-Sono Natalia Romanova – lo corresse lei, tremando – e tu sei americano.

Arretrò e trovo un lume appoggiato su una mensola. Lo impugnò, pesava un sacco, e si mise in posizione d'attacco.

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Clint guardava quella ragazzina davanti a lui. Non poteva avere nemmeno vent'anni. Era sul serio lei la famigerata Vedova Nera?

Alzò un po' di più l'arco, per scoccare la freccia fatale.

Ma non ci riuscì.

Vedeva negli occhi della ragazza un terrore enorme, quasi pari al dolore e alla stanchezza che vi scorgeva. Sembrava una ragazza che è stata torturata a lungo, che ha provato a resistere, ma alla fine il contesto in cui viveva l'aveva annientata.

Non trovò il coraggio di ucciderla, sentendosi molto il cacciatore di Biancaneve.

-Natalia – disse una voce che proveniva da un uomo alto con gli occhi chiari.

-Andrey – mormorò debolmente la rossa e Clint colse il terrore nella sua voce: Natasha non voleva che Andrey la vedesse, che la prendesse di nuovo con sé.

Si udì un leggerissimo "plin". Una goccia di sangue era caduta ai piedi di Natasha. Lei divenne pallidissima e tutto d'un tratto, le gambe le cedettero.

Clint vide la ragazza afflosciarsi a terra, svenuta.

Senza riflettere scattò in avanti, mettendosi l'arco a tracolla e prese fra le braccia il corpo esanime di Natasha. Un secondo prima che Andrey lo acciuffasse, Clint scattò in piedi, tendendo Natasha a mo' di sposa e spiccò una corsa forsennata.

Uscì all'aperto, con un turbine di emozioni diverse nel petto. Da un lato si sentiva soddisfatto, avrebbe finalmente portato la famigerata Vedova Nera al cospetto di Fury, dall'altra non aveva nessuna intenzione di farle del male. Aveva stampato in testa lo sguardo della ragazza, terrorizzato e distrutto.

Quella lì ne aveva passate di cose, si disse Clint.

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Spazio autrice

Hey, non ero morta, ma la scuola e gli allenamenti mi stanno portando via la maggior parte del tempo.

Questo capitolo non è proprio il massimo, ma ci tenevo a pubblicare per far andare avanti la storia.

Cercherò di aggiornare più spesso questa settimana.

Byeee

~Emma

"I don't judge people on their worst mistakes" - | Natasha Romanoff |Where stories live. Discover now