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Clint si infilò nella macchina scura che aveva parcheggiato nascosta dietro un imponente albero. Appoggiò delicatamente Natasha sul sedile del passeggero e partì sgommando.

Sentiva il respiro faticoso di Natasha, ma vedeva nello specchietto retrovisore le guglie più alte della grande struttura del KGB. Voleva allontanarvisi il più possibile. 

Aveva compiuto il suo dovere, rapendo Natasha, ma si sentiva comunque a disagio: gli smbrava delicata e fragile, mentre la guardava rannicchiata sul sedile, con il corpetto del vestito fradicio del denso sangue brunastro.

-Cosa ti hanno fatto? - mormorò Clint, guardando Natasha con la coda dell'occhio.

Come se qualcuno avesse invocato il suo nome anche nel sogno, Natasha aprì di colpo gli occhi e cercò di drizzarsi a sedere, ma ricadde sul sedile con una smorfia di dolore.

-Ahi- mugugnò, prima di accorgersi della situazione - chi sei?! - gridò poi, notando Clint.

-Ehy, calmati...

-Col cavolo che mi calmo! - strillò Natasha, in inglese - sono in una macchina con un americano probabilmente nemico del KGB!

-Natasha...

-Come sai il mio nome? - indagò Natasha, che, non potendo muoversi, optò per schiacciarsi contro la portiera, maledicendosi per non essere riuscita a prendere una pistola e cercando di dissimulare il dolore al ventre.

-Lo sanno tutti allo S.H.I.E.L.D - rispose Clint, indicandosi il logo della società cucito sulla spalla della giacca, senza staccare gli occhi dalla strada - sei la Vedova Nera, no? Un sacco dei nostri uomini sono morti a causa tua.

-Sei venuto ad uccidermi? - chiese col suo marcato accento russo.

-Forse.

-Se fossi venuto per uccidermi l'avresti già fatto - rifletté ad alta voce Natasha - sono ferita e ho perso un sacco di sangue. O non era quella la missione o non hai il fegato. Quale delle due?

Clint non rispose.

-Non hai il fegato, eh? - lo stuzzicò Natasha, cercando di farlo arrabbiare: le persone arrabbiate tendono a rivelare un sacco di cose, inconsciamente.

Clint continuava a tacere.

-Okay, mister non-ho-il-coraggio-di-uccidere-una-ragazzina, allora puoi dirmi come ti chiami?

-Sarei un agente segreto, sai? - replicò Clint.

-Ti chiami Clinton Barton - fece Natasha, osservando la patente aperta sul cruscotto.

Clint rimase basito e annuì.

-Okay, Clinton, posso chiamarti Clint? Dove mi stai portando? No perché non credo che al tuo capo farà piacere vedermi ancora viva.

-Va bene! - sbottò Clint esasperato e Natasha sorrise soddisfatta - va bene, non ho avuto il coraggio di ucciderti, d'accordo!? Ti ho vista lì, svenuta e...sei solo una ragazzina! E sanguini per giunta! Non posso lasciare che ti uccidano in quel posto, perché credimi, lo faranno.

Ora Natasha non sorrideva più, ascoltava e basta Clint, talmente concentrata che si lasciò scivolare sul sedile, non più schiacciata contro la portiera.

-Quel posto...quegli uomini sono malvagi, Natasha. Vogliono solo ottenere il potere, ma i loro ideali sono sbagliati! Vogliono governare ma...non capiscono che ridurrebbero il mondo in un regno di fuoco e fiamme.

-E perché voi dovreste essere diversi? - lo sfidò Natasha, simulando sicurezza, anche se dentro di lei era tutta in subbuglio. Era da quando aveva sei anni che si chiedeva se il KGB e andrey fossero brave persone. E lo erano, almeno secondo lei. Andrey era buono, le voleva bene, ci teneva a lei, aveva ideali giusti...o no? Andrey era sempre stato chiaro su quello che voleva e quello che non voleva. E le cose che voleva erano

(sbagliate)

giuste, almeno nella testa di Natasha. 

-Noi non rapiamo i bambini, per iniziare - fece Clint - e non li alleviamo come se fossero bestie da soma. Cosa hai fatto in tutti questi anni, Natasha? Cosa? Ti sei solo allenata come una matta. Ti hanno picchiata, vero? Ti hanno trattata malissimo, no? Eppure tu sei ancora dalla loro parte...

Natasha pensava febbrilmente. Era vero, l'avevano picchiata, le avevano insegnato ad uccidere, le avevano insegnato a ferire qualcuno ancora prima di insegnarle a leggere.

Ma Andrey lo aveva fatto perché le voleva bene, ci teneva a lei. Sempre secondo lei.

Natasha sapeva che era un violento ma in fondo non conosceva altri uomini, per cui per lei Andrey era una sorta di modello standard. Non poteva esserci di peggio, ma nemmeno di meglio.

-Fammi uscire di qua - disse calma.

-Cosa?

-Fammi uscire di qua, subito.

-No. Sei ferita e non ti lascerò tornare da quel matto. Ti ucciderà, Natasha, quello ti usa e batsa.

-Non parlare così di Andrey! - strillò Natasha, cercando di aprire la portiera della macchina.

-Non ti lascerò correre incontro al suicidio - replicò calmo Clint.

Natasha si sentiva ribollire di rabbia. Chi credeva di essere quel tipo, per tenerla rinchiusa lì?

-Fammi uscire, ora! - urlò Natasha.

Clint non rispose nemmeno. Natasha iniziò ad odiarlo. So frugò in tasca e non trovò nulla. Stizzita si guardò intorno. Vide il pulsante di chiusura automatica delle portiere, che in teoria le avrebbe anche permesso di riaprirle.

Con uno scatto felino, non programmato e voluto dall'istinto, Natasha schiacciò violentemente il pulsante e fece scattare la portiera.

Velocissima si fiondò fuori dalla macchina in movimento. Atterrò malamente, ma si raddrizzò subito e iniziò a correre, sentendo Clint urlare dietro di lei.

Ma non le importava, voleva tornare da Andrey, al KGB. Perché? Perché era giusto così, rispondeva subito la sua mente. Ma un angolo recondito di quest'ultima sapeva che non era tutta la verità. Natasha aveva paura. Paura di incontrare qualcuno di addirittura peggiore di Andrey. Era un istinto di auto-protezione che la spingeva a correre verso il KGB, luogo dei peggiori anni della sua vita.

Ma non aveva fatto i conti con la ferita sanguinante che le perforava il basso ventre.

Era sempre più debole e stava rallentando la sua corsa. Sentiva i passi pesanti di Clint dietro di lei, ma correva lo stesso.

Ansimava (male) e iniziava a vedere esplosioni verdastre davanti agli occhi (ancora peggio).

Ad un certo punto, i suoi piedi si scontrarono fra loro e Natasha cadde a terra con un grido strozzato.

Non ebbe la forza di rialzarsi, ma con le dita si aggrappava all'erba che la circondava per cercare di avanzare lo stesso. Non voleva che Clint la prendesse. Dove riuscire a sfuggirgli.

Le esplosioni silenziose che le invadevano la cornea, oscurarono completamente il campo visivo di Natasha.

La rossa svenne, ma non prima di aver visto la sgradita figura dell'uomo che sarebbe diventato come un fratello per lei.

"I don't judge people on their worst mistakes" - | Natasha Romanoff |Where stories live. Discover now