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Natasha e Clint correvano a testa bassa per contrastare la pioggia che batteva insistentemente sui loro volti. Natasha aveva la visuale offuscata dalle goccioline argentee che oltrepassavano la protezione minima che le ciglia fornivano ai suoi occhi felini.

-Quanto manca? - domandò Clint, schermandosi gli occhi con un braccio e voltandosi verso Natasha. lei si scostò i capelli dal viso e controllo lo schermo del localizzatore.

-Non molto - disse, cercando di decifrare i numeri minuscoli che lampeggiavano verdognoli sul display - o almeno, non sembra. Secondo questo affare meno di venti minuti. Credo.

Natasha scrutò accigliata l'arnese e iniziò a chiedersi con disappunto perché mai fosse così indeciso sul percorso rimanente. infatti, i numeri cambiavano in continuazione  sul display e confondevano non poco la spia.

Clint glielo prese dalle mani e scosse un po' il localizzatore.

-Sì, dovrebbe mancare una ventina di minuti.

Si rimisero in marcia, stavolta senza correre: il marciapiede fradicio li aveva già fatti scivolare entrambi più volte come testimoniavano gli strappi sui pantaloni di Clint, in corrispondenza delle ginocchia e le macchi fangose sui polpacci di Natasha.

-Comincio ad odiare questa città - affermò lei, sbandando a causa degli ali tacchi che si erano posati su una foglia caduta e scivolosa.

-A chi lo dici - bofonchiò Clint, con gli occhi fissi sul localizzatore - e dire che da bambino volevo disperatamente venirci. 

-Come mai? - domandò Natasha, incuriosita.

-Non lo so. Sono sempre stato in America, da ragazzo, anche dopo che Fury mi ha reclutato. L'Europa mi sembrava un posto esotico, lontanissimo, pieno di posti stupendi - Clint scrollò le spalle - ho visitato un po' dei paesi centrali, per delle missioni, ma niente di più. 

-Io pensavo la stessa cosa dell'America - replicò Natasha - e del resto del mondo in generale. Sai, ho visto solo la Russia. E dove sei stato? - aggiunse poi, improvvisamente interessata a tutte le cose che si era persa nei suoi primi diciotto anni di vita.

-Sono stato a Londra - cominciò Clint, sempre tenendo d'occhio il localizzatore - ed è una delle mie città preferite, anche se l'ho vista solo per tre giorni fra un'operazione e l'altra. In Inghilterra poi ho visto un sacco di paesini, per una missione del 2006, e sempre in quella missione ho visitato Chablis e Tanlay, in Francia. Sono due paesini minuscoli, Tanlay è anche un po' inospitale... ma sono francesi, sai...

Natasha non disse nulla, dato che non era a conoscenza degli stereotipi che aleggiavano intorno ad alcune nazioni, ma aspettò che Clint ricominciasse a parlare. Le raccontò di Parigi, Dublino, Berlino, Ginevra, Oslo e Helsinki. 

-Wow, menomale che non eri mai stato in Europa, eh? - commentò Natasha.

-Sì, ma ero in missione. No ho mai fatto un viaggio come turista. Non ho mai visto l'Italia, ora che ci penso.

Natasha continuò ad ascoltarlo, ma con la mente era altrove. Stava pensando alla biblioteca del KGB, piena di tomi antichi che nessuno consultava mai. Nei suoi ricordi, una ragazzina minuta, con una cascata di capelli rossi sciolti sulla schiena, percorreva a passettini leggeri

i lunghi corridoi con le pareti nascoste dagli scaffali. La giovane Natasha si avvicinò ad uno scaffale in particolare e ne tirò fuori un libro molto vecchio, con la copertina di cartone sdrucita e le pagine scricchiolanti. Era un libro illustrato, che mostrava i paesaggi del mondo. Natasha adorava quel libro, perché le permetteva di uscire, almeno con la mente, da quel posto orribile. Era la sua via di fuga, una specie di cannocchiale potentissimo che le mostrava posti lontanissimi il cui accesso le era negato. Lo aprì ad una pagina a caso e si ritrovò davanti un'illustrazione che raffigurava la calotta polare. Era dipinta direttamente sulla carta. C'era un orso bianco con un pesce in bocca, che volgeva il capo verso un cielo blu stellato in cui riluceva l'aurora boreale. Natasha si perse ad ammirare le pennellate delicate che componevano il manto dell'orso. I colori si univano fra loro alla perfezione e il bianco della pelliccia contrastava con il cielo scuro. Natasha svoltò qualche pagina e si soffermò a guardare un tucano dai colori vivaci, dipinto nell'angolo di una pagina. Il becco variopinto sembrava puntare verso un casco di banane, rappresentato qualche riga più sopra nella pagina affianco. Natasha passò diversi minuti a guardare i paesaggi e gli animali che si facevano spazio in mezzo alle righe di inchiostro nero. Quel libro era certamente un pezzo unico e la ragazzina dai capelli rossi era felice che si trovasse proprio lì, dove poteva vederlo tutti i giorni, sfogliarlo attentamente e immaginare di trovarsi nei posti che descriveva. Si immobilizzò alla vista di un'immagine che on aveva mai notato. occupava una pagina intera e raffigurava due bambini che ridevano, in un parco enorme e pieno di alberi. Erano un maschio e una femmina, probabilmente fratelli, coi capelli castani e vividi occhi celesti. Vestivano con abiti leggeri dai colori pastello. La bambina aveva un'ampia gonna lilla e suo fratello una camicia azzurra infilata nei calzoncini corti con le bretelle. Sembravano così spensierati e felici che per un momento Natasha ricambiò il loro sorriso. Sfiorò con un dito i capelli corti e ribelli del bambino e percorse con solo il polpastrello quelli lunghi di sua sorella. Quei due conducevano vite felici, ne era certa. Come era certa che la bambina facesse danza classica in una scuola bellissima, in cui tutti erano gentili e nessuno puniva chi sbagliava con le frustate. Magari anche suo fratello frequentava la stessa scuola di danza, e lui di certo non veniva cacciato con la testa in una bacinella piena d'acqua gelida se solo osava essere stanco...

-Natasha? - la chiamò Clint, scrollandola leggermente.

-Eh? Cosa? - Natasha si riprese in un secondo e vide Clint osservarla turbato.

-Va tutto bene? - le chiese?

-S-sì - Natasha si passò una mano sulla fronte, facendosi andare la pioggia negli occhi - stavo solo... mi era venuta in mente una cosa. Niente di che, sai...

-Bene. Comunque, siamo arrivati - Clint le indicò il bar davanti a loro. Era un bar come tutti gli altri, con l'insegna neon luminosa e all'interno un bancone che esibiva panini e brioches.

All'interno Natasha vide quattro uomini enormi, seduti ad un tavolo, che conversavano fra loro.

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Spazio autrice

Non aggiorno da qualche milione di anni, ma non sono morta! Forse. Ho avuto un'ultima settimana di scuola piena di verifiche e non ho potuto scrivere una riga. Comunque, finalmente sono in vacanza e dovrei aggiornare più spesso. Forse.

Byee

-Emma


"I don't judge people on their worst mistakes" - | Natasha Romanoff |Tahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon