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Budapest

Clint e Natasha erano entrati da pochi minuti nel palazzo più elegante di Budapest, dove si stava tenendo una cena di gala fra i maggiori esponenti nel campo delle forniture d'armi. 

La cena si svolgeva in un salone enorme, con le pareti decorate da affreschi rinascimentali e i tavoli per gli invitati coperti da tovaglie di finissima seta bianca.

Natasha si sentiva profondamente a disagio, mentre lei e Clint aspettavano di prendere posto in piedi in quella che doveva essere una sala da ballo. Era in mezzo a gente elegantissima, che vestiva abiti fatti delle stoffe più pregiate, gioielli di diamanti e oro veri e scarpe probabilmente di pelle vera. Lei aveva addosso un vestito di Laura e Clint un comunque smoking. Tra gli invitati non vide nessun volto che avesse già incontrato al KGB. 

Vide di sfuggita un uomo non troppo alto ma comunque con un certo fascino, che portava una maglietta stampata sotto la giacca aperta dello smoking e pantaloni strettissimi. La sua barba aveva un taglio così particolare che Natasha non faticò a riconoscerlo: Clint ne parlava in continuazione ed era sempre sulle copertine dei giornali più importanti. Era Tony Stark, genio, milionario, playboy e filantropo, oppure, per come lo conoscevo io, semplicemente Tony.

-Guarda, Clint... - mormorò Natasha.

-Ricordati che sono Christopher - la interruppe lui.

-Oh, d'accordo, allora, Christopher, -  proseguì Natasha - guarda, quello è Tony Stark!

-Sì. E' un pezzo grosso nel commercio delle armi, sai?

Natasha annuì e si soffermò ancora un minuto con lo sguardo su Tony Stark e sulla donna decisamente più alta di lui e coi capelli rossi che lo accompagnava.

-Tieni gli occhi aperti,  Aglaya - la avvertì Clint - e avvertimi se vedi qualche volto che ti è anche solo lievemente familiare.

Natasha annuì di nuovo.

Finalmente entrarono nella sala adibita alla cena. Si ritrovarono ad un tavolo tondo insieme ad altre otto persone. Il disagio di Natasha aumentava anche solo al pensiero di doversi destreggiare con tutte quelle posate che parevano d'argento. 

Ruotava il collo a destra e a sinistra così velocemente che iniziava a dolerle, ma voleva a tutti i costi riconoscere gli infiltrati. 

Aveva i nervi a fior di pelle. Sapeva che in qualunque momento ci sarebbe potuta essere un'esplosione così violenta da farli saltare in aria tutti.

Non vedere nessun uomo dall'aria circospetta la preoccupava non poco. E se in quel preciso momento fossero ad innescare la bomba che li avrebbe uccisi tutti?

E poi li vide. Tirò un sospiro di sollievo nel riconoscere Anatoliy, Dmitriy, Sergey e Rafail. Erano tutti e quattro degli studenti al KGB che avevano ottenuto il "diploma" quando lei aveva quindici o sedici anni e da allora svolgevano tutte le missioni estere del KGB.

Allungò una gamba sotto il tavolo e diede un colpetto con il tacco alla gamba di Clint. Lui la guardò interrogativo e Natasha fece un piccolo scatto con il mento verso i quattro. Clint non fece fatica a capire a chi stesse alludendo: erano quattro giganti, con le spalle larghe, l'andatura da gorilla e la testa rasata.

-Aspettiamo la seconda portata per alzarci e attuare il piano - le sussurrò Clint, per poi cominciare un'assorta conversazione con l'uomo che gli stava accanto. Natasha lo sentiva parlare con termini molto specifici del mercato delle armi e faticava a capire quei termini in inglese, per cui rinunciò in partenza a seguire la conversazione.

Si limitò ad assumere la posizione rigida che le avevano insegnato al KGB e ad osservare la sala. I quattro uomini della Stanza Rossa erano a pochi tavoli da loro e Natasha non doveva nemmeno voltarsi per guardarli, li vedeva perfettamente.

Stavano confabulando fra loro, ignorando allegramente chiunque provasse a parlare loro, compresi i camerieri in livrea che cominciavano a volteggiare fra i tavoli portando gli antipasti e i calici di vino.

Natasha si accorse a malapena del piatto che le avevano appena messo sotto al naso e iniziò a mangiare quasi automaticamente. Ricordava bene Anatoliy e Sergey. Erano incredibilmente violenti. Una volta aveva risposto a Sergey con tono irritante e lui le aveva quasi fracassato tutte le costole. Se non fosse stato per Andrey l'avrebbe anche fatto.

Improvvisamente un colpetto sul braccio da parte di Clint la riportò alla realtà.

-Dicevo... chi è la tua graziosa amichetta? - stava chiedendo l'interlocutore dell'arciere.

-Lei è Aglaya Lebedev - rispose prontamente Clint - mia moglie da pochi mesi. Viene da San Pietroburgo, non parla molto bene la nostra lingua.

Clint allungò un braccio sulla tovaglia e strinse la mano di Natasha, mimando un innocuo gesto d'affetto fra due sposi. Natasha si irrigidì, ma non scostò la mano.

-Molto piacere - disse, stringendo la mano all'interlocutore e forzando l'accento russo. 

-Piacere mio, madame. Io sono Jean Pierre Dubois - le rivolse un sorriso affabile e Natasha sentì la sua "R" vibrare con un forte accento francese - Non mi è sembrata molto a suo agio stasera, c'est vrai?

Natasha annuì, ma non sorrise. Sapeva esattamente cosa volesse dire quel ghigno orribile stampato sul viso di Jean Pierre Dubois. Gli scoccò uno sguardo che se ne avesse avuto il potere lo avrebbe incenerito e guardò male anche Clint per averla costretta a parlare con l'uomo.

Passarono lunghi e spiacevoli diversi minuti e dopo passò un'ora. Finalmente Natasha vide i camerieri iniziare a servire la seconda portata e alcuni uomini si alzarono per andare in bagno o appartarsi a parlare di affari. 

Anche lei e Clint scattarono in piedi e si diressero verso i bagni.

-Allora - disse Clint, porgendole un sacco di carta che aveva depositato qualche ora prima nei guardaroba - mettiti questa roba e fai qualcosa ai capelli. Tra tre minuti ci rivediamo qua.

Natasha si infilò silenziosamente nel bagno fatto di lucide piastrelle di ceramica bianca e aprì la busta. Ne tirò fuori una tuta a figura intera in simil-pelle nera e una cintura a cui erano già agganciati i foderi per le pistole. La indossò non senza una certa fatica e appallottolò l'abito da sera per poi ricacciarlo nel sacchetto. Notò di avere il logo dello S.H.I.E.L.D. stampato sulla spalla destra. Infilò con gioia le pistole nei foderi. Era quasi un mese che non sentiva il rassicurante e familiare peso di quegli arnesi di ferro e le mancava. 

Si intrecciò velocemente i capelli e uscì dal bagno. Gli stivali ticchettavano sul pavimento al ritmo dei suoi passi. 

-Ci sono - disse a Clint, che aveva indossato il suo costume e portava appesi alle spalle arco e faretra. 

-Ottimo. Lascia i vestiti al guardaroba, se il piano funzionerà li riprenderemo fra meno di un'ora.

Natasha eseguì e al suo ritorno Clint le consegnò un lungo bastone di ferro che aveva una scanalatura nel mezzo. Natasha capì in fretta che il bastone poteva essere diviso in due e se lo assicurò dietro la schiena.

-Fury ci ha dato delle specie di... nomi in codice, diciamo - la informò Clint - io sono Occhio di Falco.

-Sono tipo... nomi da super eroe? - Natasha dovette trattenere una risatina.

-Non sono affatto nomi da... sono più... okay, sono nomi da super eroe - ammise Clint, leggermente rosso in viso - tu ne hai uno?

-Sì, dovresti saperlo - Natasha tornò seria e passò distrattamente una mano sulla fibbia della cintura a forma di clessidra rossa - io sono la Vedova Nera.

"I don't judge people on their worst mistakes" - | Natasha Romanoff |Όπου ζουν οι ιστορίες. Ανακάλυψε τώρα