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Autunno, 2000

Erano ormai due anni che Natasha si allenava per il progetto Vedova Nera. Oltre ai corsi normali, seguiva lezioni di lingue straniere e morte (studiava francese, inglese, italiano, spagnolo e latino), allenamenti privati e molto più intensivi di quelli normali e lezioni supplementari per diventare un'assassina che uccideva a sangue freddo.

Era il 22 novembre. Era il suo compleanno. Ora aveva dieci anni, ma tanto non importava a nessuno, a momenti anche lei rischiava di dimenticare quella data. Era sempre stata la più giovane nella sua sezione, e nascere alla fine dell'anno la faceva sembrare ancora più piccola.

Era nella camerata, si stava cambiando per la lezione di danza. Se qualche anno prima le sembravano una tortura, le ore di danza ora erano una specie di  balsamo che affievoliva la fatica delle altre lezioni e Natasha le attendeva con ansia.

Si guardava allo specchio mentre si cambiava. La lastra di vetro le restituiva uno sguardo grigio-verde, cupo. I capelli le ricadevano sulle spalle nude, in ciocche rosse lunghe fino a metà della schiena di  Natasha. Nonostante avesse appena dieci anni, gli allenamenti intensivi le avevano scolpito gli addominali, i muscoli delle gambe erano pronti e guizzanti sotto la calzamaglia bianca che Natasha stava srotolando e le braccia erano modellate anch'esse dal continuo esercizio. A Natasha sarebbe piaciuto avere un corpo da bambina normale, non costretta a praticare attività fisica sedici ore al giorno, ma era una cosa che non avrebbe mai sperimentato nella sua infanzia, ma solo molti anni dopo.

Dopo essersi infilata le punte di gesso e gli scaldamuscoli sui polpacci, uscì in fretta dalla camerata, cercando di arrivare puntuale alla lezione con miss Hemilton.

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-In fila, ragazze, in fila - disse pigramente miss Hemilton, che con gli anni che avanzavano diventava sempre più svogliata, ma non per questo le ragazze avevano smesso di rispettarla. Anzi, più che altro rispettavano le sue punizioni, che non avevano perso lo smalto, affatto.

Le ragazze si misero in fila davanti alla sbarra, con la mano destra appoggiatavi sopra e l'altro braccio e le gambe atteggiati in una prima posizione, aspettando che miss Hemilton parlasse di nuovo.

-Ora faremo un po' di flessibilità. Cortesemente, Romanova vieni qua ad aiutarmi a spiegare l'esercizio.

Natasha sapeva il perché di quel ghigno sul volto di miss Hemilton. Il giorno prima non era riuscita a trattenersi e si era chiesta ad alta voce se miss Hemilton lavorasse al KGB per il gusto di torturare le ragazzine o per provarci con Andrey.

E ora voleva fargliela pagare. Natasha lo sapeva, e si avvicinò a lei compostamente, cercando di non tremare.

Miss Hemilton la guidò verso la spalliera.

-Prego, Natalia, sai cosa devi fare.

Natasha lo sapeva eccome: l'unico esercizio di flessibilità che facevano alla spalliera era orribilmente doloroso.

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Pochi minuti dopo, Natasha era raggomitolata al suolo, che si stringeva le ginocchia al petto, tremante. Ogni singolo muscolo le doleva orribilmente, a causa dell'esercizio alla spalliera, che prevedeva una spaccata con le gambe più che allargate e la schiena contorta in una posizione che probabilmente potevano assumere solo le bambole di pezza.

Non essendo riuscita a piegare la schiena come voleva miss Hemilton, quest'ultima aveva ritenuto che una sana dose di frustate avrebbe corretto la postura di Natasha.

Seduta nell'angolo più lontano dalla spalliera, Natasha osservava le sue compagne andare incontro alla sua stessa sorte. Gli angoli degli occhi erano strabordanti di lacrime, che bagnavano i capelli che le si erano appiccicati al viso.

Aveva segni oblunghi e violacei sulle braccia e sul collo, dove la frusta l'aveva colpita.

Rimase lì, con lo sguardo terrorizzato a fissare il vuoto. Mai come in quel momento Natasha aveva desiderato qualcuno che le fosse vicino, come un amico, un fratello...

Provò a pensare a Viktor e Klara, ma svanirono in fretta dal suo cervello, come molti anni dopo sarebbe svanita metà della popolazione dell'Universo.

Prese qualche profondo respiro, cercando di calmare il dolore ai muscoli, con scarso risultato.

Udì vagamente miss Hemilton annunciare la fine della lezione. Facendo forza sulle braccia, Natasha si mise in piedi, accorgendosi del tremolio violento delle ginocchia. Lei e le sue compagne barcollarono verso la camerata, dove avrebbero avuto un'ora per cercare di riprendersi. Dopo Natasha sarebbe dovuta andare da Andrey, che voleva parlarle di una cosa. Ne aveva accennato il giorno prima.

Raggiunse il suo letto e vi crollò sopra, senza nemmeno la forza di togliersi il body e le punte.

Sapeva che così il dolore sarebbe solo peggiorato, così racimolò un po' di energia e si tirò su. Si levò il body e infilò i vestiti sgualciti che aveva ereditato da una certa Nadya, una ragazza che non era sopravvissuta agli allenamenti intensivi del KGB, e iniziò a fare stretching, giusto per non svegliarsi completamente immobilizzata dal dolore ai muscoli il giorno dopo.

-Che fai, Natalia? - chiese una delle nuove arrivate nella loro sezione. Si chiamava Ellie, o qualcosa di simile, Natasha, anni dopo faceva fatica a ricordare il nome di quella bambina, che aveva avuto vita breve.

-Stiro i muscoli. Così evito i crampi - rispose, abbandonandosi sul letto.

Ellie veniva dall'Inghilterra, i suoi genitori erano morti durante un attacco terroristico del KGB e l'avevano presa.

-Come mai sei qua, Ellie? - chiese schietta Natasha. La bambina era magra, con gambe e braccia sottili, la vita e la cassa toracica strette, poco resistente di sicuro. In più aveva il respiro irregolare data l'asma. Di solito il KGB non prendeva i bambini poco sani. Ellie aveva già gli occhi segnati da occhiaie profonde, le spalle scoperte dalla canottiera troppo larga che portava erano già coperte di lividi. Natasha li conosceva bene quei lividi, erano causati dalla parte dura della frusta, dalla parte del manico di ferro.

-Vogliono farmi entrare nell'intelligence di questo posto - disse semplicemente Ellie , allontanandosi da Natasha.

Lei rimase a guardare quella figura magra sparire in mezzo alle altre. Ellie aveva resistito per le prime due settimane, ma Natasha sapeva che non avrebbe raggiunto un anno. Forse neanche sei mesi.

Con una sorta di malinconia rassegnata, Natasha si alzò e iniziò a cercare le calze e le scarpe, che erano finite da qualche parte sotto il letto, per andare da Andrey.

Aveva uno strano presentimento, e per qualche motivo sentiva il cuore martellarle nel petto, come se qualcosa di orribile la attendesse per farle un agguato da dietro un angolo.

"I don't judge people on their worst mistakes" - | Natasha Romanoff |Where stories live. Discover now