VI. Tortuga

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Tortuga era una piattaforma ovale che, proprio come una tartaruga, galleggiava appena sopra la superficie dell'oceano

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Tortuga era una piattaforma ovale che, proprio come una tartaruga, galleggiava appena sopra la superficie dell'oceano. Dal parapetto dell'Argon era impossibile scorgere gli otto motori che la sospingevano, dato che erano situati nella parte sommersa dell'approdo artificiale, ma Mess poteva vedere l'ampia scia scura che Tortuga lasciava dietro di sé, unica prova tangibile della sua rotta.
La ragazza contò ben quattro moli per le aeronavi e altri sei, più piccoli, per le imbarcazioni navali: attorno a ognuno di essi si muovevano decine di marinai e braccianti che da quell'altezza parevano tante formichine operose. Le baracche che ospitavano la popolazione erano nate un po' a caso sulla piattaforma, addossate le une alle altre in un labirinto pieno di svolte impreviste e vicoli ciechi, da cui Trix l'aveva già messa in guardia: era facile perdersi lì dentro e spesso si rischiava di incappare in qualche banda di tagliagole. Ai due lati opposti di Tortuga svettavano i suoi due fari, dipinti di una brillante vernice rossa e bianca, che con la loro luce rischiaravano sia le acque appena percorse che quelle ancora da esplorare.

L'equipaggio era in fermento, dato che anche un minimo errore nelle procedure d'attracco poteva rivelarsi fatale, se il pallone aerostatico si fosse scontrato con quello del vascello ancorato allo stallo a fianco o se il corpo della nave si fosse inclinato troppo, gettando tutti loro fuori bordo.
Colta da un presentimento improvviso, Messalina si voltò verso il cassero: Blackraven la stava osservando con uno strano sorrisetto sulle labbra.
I tre giorni di navigazione dovevano essere stati intensi per lui, sempre impegnato, al pari dei suoi uomini, nell'opera di riparare i danni minori subiti dall'Argon: la sua camicia era sgualcita e sporca di fuliggine, così come le brache scure, e un'ombra di barba nera gli scuriva le guance.
Appoggiato con i gomiti sul coronamento del cassero, ascoltava in silenzio le lamentele di mastro Bell su quanto fossero care le puttane di Tortuga, ma la sua attenzione era concentrata su di lei, come se potesse scardinare le sue difese con la sola forza dello sguardo, per poi rivoltare la sua anima da cima a fondo e carpirne i segreti. Messalina serrò le labbra, stizzita, prima di saltare sul parapetto, spalancare le ali e gettarsi in picchiata verso il suolo con un tuffo aggraziato. Fu un volo di poche decine di metri, ma l'aria fresca le arrossò le guance e le schiarì la mente.

"La più grande arma di Blackraven non è la sua nave e nemmeno la violenza di cui è capace" pensò, atterrando sul molo e raggiungendo Smokey, che stava esaminando accigliata le lettere indirizzate a vari membri dell'equipaggio giunte sull'isola artificiale. "No, è la sua intelligenza il pericolo maggiore. Quell'uomo sarebbe capace di imbrogliare il diavolo in persona! È bene che me lo ricordi per tutto il tempo che passerò sull'Argon!"

Il primo ufficiale alzò a malapena gli occhi verso di lei:
«L'Argon scioglie le vele alle sette di questa sera e non si aspettano i ritardatari.»

«Lo terrò a mente!» rise la ragazza, gli occhi scintillanti alla prospettiva di esplorare l'avamposto marino – un ambiente esotico e affascinante per chi, come lei, non aveva mai messo piede al di fuori della città in cui era nata.
All'inizio si era stupita che Blackraven l'avesse fatta scendere senza sollevare obiezioni, ma aveva concluso che neanche lui volesse interrompere la tacita tregua che si era imposta tra loro in quei giorni: entrambi si erano impegnati per evitare ogni occasione in cui sarebbero stati costretti a interagire. Mess passava gran parte del giorno sottocoperta a lavorare per Old Tom o a fare compagnia a Trix e usciva solo la sera per concedersi dei brevi voli serali tra gli alberi e le vele della nave; memore dell'ammonimento di Smokey, non si spingeva mai nel cielo aperto, dove avrebbe rischiato di essere catturata da venti troppo forti.

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