XLIV. Assalto a Baltia

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Messalina voleva disperatamente convincersi di essersi immaginata il rumore lontano dei motori di un'aeronave, così tanto che per un istante riuscì quasi a credere a quel vano desiderio. Ma Lyon si era già irrigidito sotto al suo tocco e i suoi occhi scivolarono verso l'Argon, che aveva gettato l'ancora appena oltre le mura di Baltia e che ora stava spiegando le vele – probabilmente su ordine di mastro Bell, che doveva aver avvistato il nemico.
Il corsaro balzò in piedi e raccolse la spada dal punto in cui l'aveva lasciata cadere, poi tornò a guardarla e un timido sorriso si fece strada sul volto tirato.

«Devo andare» disse solo, sfiorandole la guancia con dita leggere.
Mess ingoiò il singhiozzo che le stava salendo alle labbra, strinse le mani sulla sua e alzandosi in punta di piedi lo baciò senza fretta, ma con un'agitazione che non poteva nascondergli.
Lyon sorrise contro la sua bocca e la stuzzicò con la lingua, con fare giocoso, in un evidente tentativo di rassicurarla.
«Andrà tutto bene» mormorò. «Ma tu devi promettermi di stare attenta: non esporti a rischi inutili, Messalina.»

«Tu mi puoi promettere la stessa cosa?»
La voce le uscì tremula, sul punto di spezzarsi, e Mess si odiò per questo.

Lyon, invece, le regalò un'ultima carezza e annuì con fare solenne, prima di correre via, diretto alla sua nave.
La ragazza distolse lo sguardo dalla sua figura che si allontanava, non riuscendo a sopportare l'angoscia che tale vista le provocava. Strizzò gli occhi per scacciare le ultime lacrime e spiccò il volo mentre il profilo minaccioso di un'aeronave iniziava a delinearsi sopra la cima delle montagne.
Quando atterrò sui bastioni che proteggevano il palazzo trovò già Bart e Old Tom di vedetta a poca distanza l'uno dall'altro, i moschetti puntati contro la galleria d'accesso, ora bloccata da grossi massi; Joey, forse rimpiangendo le paratie dell'Argon, si era arrampicato sul tetto a spiovente di una delle due torri più piccole, ma invece di scrutare le montagne aveva lo sguardo fisso sulle sagome dell'Argon e della Victoire, quasi del tutto nascoste dalle nuvole basse che si erano addensate sopra Baltia.
Era impossibile capire alcunché di ciò che stava accadendo lassù: gli unici indizi erano i tuoni e i lampi che di tanto in tanto segnalavano che un colpo di cannone era andato a segno.
A un tratto l'atmosfera statica e immobile fu rotta dal basso fischio che Old Tom usò per richiamare l'attenzione dei ragazzi.

«Hanno oltrepassato le cime più alte» mormorò, indicando delle piccole scintille luminose che apparivano e scomparivano lungo il pendio dei rilievi davanti a loro. Con un brivido, Mess capì che ciò che vedeva era il riflesso della luce sulle ali metalliche degli uccellini di Raymard.

«Già sapevamo che non sarebbe bastato a fermarli. Almeno ci abbiamo provato» borbottò Bart e scosse il capo e le spalle, come per levarsi di dosso l'agitazione che lo pervadeva.

«Può essere una buona cosa, però, no? Se sono qui non possono difendere le navi contro l'Argon e la Victoire, giusto?» domandò la ragazza, tentando di infondere nella voce un esagerato ottimismo.

Old Tom grugnì:
«Raymard non è uno sprovveduto. Avrà portato abbastanza uomini per assicurarsi di poter combattere sia in cielo che in terra allo stesso tempo!»

Messalina rimase immobile a guardare i nemici avvicinarsi, a malapena sfoltiti dalle cannonate che i Floriani sparavano dall'alto delle torri e si costrinse a deglutire a fondo.
Fu tuttavia inutile.
Quando spalancò le ali e si gettò oltre il parapetto aveva ancora in bocca il sapore amaro della paura.

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