XV. Vecchie ferite

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Calcutta non era cambiata affatto negli ultimi quindici anni: quella città era splendore e miseria e nelle sue strade il profumo delle spezie si mescolava ancora al tanfo delle fogne

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Calcutta non era cambiata affatto negli ultimi quindici anni: quella città era splendore e miseria e nelle sue strade il profumo delle spezie si mescolava ancora al tanfo delle fogne.
Le catapecchie pericolanti dei poveri diavoli che affollavano la principale città dell'arcipelago sorgevano accanto alle rovine degli antichi templi buttati giù dal Crollo, quando la terra si era spaccata e l'Oceano aveva cambiato per sempre l'aspetto dell'India: ogni tanto si poteva scorgere, tra la vegetazione incolta che reclamava con avidità le spoglie di quel tempo perduto, il gigantesco profilo di una divinità indù o il frammento di un bassorilievo. I tesori di quei palazzi erano spariti da decenni: la fame e la povertà avevano spinto anche i più fedeli a barattare l'oro e le pietre preziose con beni più essenziali; poi erano arrivati dall'Europa gli appassionati d'antichità che avevano provveduto a portar via tutti i rimanenti pezzi con qualche valore artistico.
Lì più che in altri luoghi era evidente come la Natura aveva proliferato incontrollata negli anni successivi al Crollo, riappropriandosi di gran parte dell'isola e tentando di scacciare via l'uomo e le sue costruzioni. Una volta, durante una calda sera estiva in cui la camicia era diventata un tutt'uno con la sua pelle e le zanzare e le mosche non le davano tregua, Smokey era arrivata a pensare che ci dovesse essere una coscienza viva dietro quella caparbia ostilità, un qualcosa che odiava gli esseri umani e che si era votata alla loro distruzione.

Era arrivata quella mattina a bordo di una aeronave mercantile che aveva incontrato al largo delle coste spagnole e con cui era riuscita a pattuire un compenso adeguato per il lungo viaggio; in tasca aveva la lettera che le avevano recapitato a Tortuga e sebbene non fosse altro che un pugno di righe vergate in fretta quel foglio le pesava come un macigno. Sapeva che avrebbe dovuto dirigersi subito verso la zona nuova della città, quella che avevano costruito gli inglesi e in cui si trovava la caserma della Brigata Alata; ricordava ancora bene il percorso da fare, memore di tutte le notti in cui era rientrata ubriaca e malferma sulle gambe dopo una bevuta all'osteria con i suoi commilitoni.
Eppure indugiava ancora, persa tra i ricordi, vagabondando senza meta tra ragazzini che giocavano, mercanti che richiamavano i clienti a gran voce e gruppetti di donne in sari che le passavano accanto lanciandole occhiate sospettose.
"Non che mi aspettassi qualcosa di diverso, dopotutto."

Calcutta era stata la sua casa per molti anni, ma c'era un motivo se quando era salpata con l'Argon Smokey aveva giurato di non rimetterci più piede, sperando che quel modo di dire tanto diffuso tra i suoi compagni d'arme per lei non valesse.
«Una volta nella Brigata Alata, per sempre nella Brigata Alata!» era il brindisi di rito dei veterani e la frase esclamata con gioia dopo una missione senza complicazioni o mormorata davanti alla tomba di chi ci aveva rimesso le penne.
Ed era vero, constatò la donna con amarezza mentre finalmente si dirigeva verso la caserma: la Brigata Alata l'aveva richiamata indietro, lì dove tutto era iniziato, a fare i conti con il suo passato.

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