XXXIX. La magia del lampo

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Novant'anni prima Kiev era stata una città fiorente, ma nell'osservare quei ruderi Messalina non riusciva a convincersene

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Novant'anni prima Kiev era stata una città fiorente, ma nell'osservare quei ruderi Messalina non riusciva a convincersene.
Le Terre Bianche erano selvagge come aveva sempre immaginato: una distesa brulla e disabitata, fatta eccezione per qualche piccolo villaggio di pastori che sfidava le temperature estreme di quei luoghi. La ragazza non riusciva a capire come potessero resistere a quel vento freddo che s'insinuava sotto i vestiti pesanti, fino a tagliare la pelle e irrigidire i muscoli; quando si erano lasciati alle spalle gli ultimi avamposti civilizzati, una settimana prima, ogni mattina al risveglio aveva l'impressione di essere diventata una statua di sale.

"Ed è estate" pensò, stringendosi le mani guantate al petto nel vano tentativo di sciogliere le dita intorpidite. "Non oso immaginare cosa succeda quassù quando arriva l'inverno..."

Anche il sole appariva freddo, a quelle latitudini, un pallido disco che non riusciva a scaldarla, nonostante indossasse ben due giacche sopra la camicia, pantaloni foderati di pelliccia di montone e un caldo cappello di lana sotto cui aveva infilato i riccioli biondi.
Eppure doveva ammettere che lo scenario che si estendeva davanti ai suoi occhi aveva un certo fascino: la sottile patina di ghiaccio che ricopriva le rovine di Kiev brillava come un mantello di diamanti, punteggiato qua e là dai licheni scuri che s'intrecciavano sui muri e sulle colonne. Le opere degli uomini che un tempo avevano abitato quelle case erano a malapena riconoscibili dopo essere state esposte per secoli al vento e alle intemperie, che le avevano plasmate a loro piacimento. Qua e là la neve si era sciolta, lasciando intravedere zolle di terra bruna e secca, o raccogliendosi in polle d'acqua limpida.

«Mess! Non fermarti o congelerai!»

La voce di Trix esprimeva tutto il disappunto della macchinista per essere stata coinvolta in quella missione. Quando Lyon aveva fatto presente che in cinque avrebbero esplorato più in fretta la città Wes, Old Tom e Bart si erano offerti subito volontari, ma il capitano non voleva lasciare la nave indifesa e aveva ordinato allo scozzese di rimanere a bordo e vigilare insieme a Sin e a mastro Bell.
Trix, che detestava le ricognizioni a terra e ancor di più i climi freddi, aveva provato a protestare:
«E se dovessimo fuggire? Questo freddo bloccherà le fornaci se non ci sono io a controllarle!»

Tuttavia alla fine aveva dovuto capitolare e scendere a terra, infagottata in un cappotto lungo fino alle ginocchia e con una sciarpa a trama grossolana avvolta più volte attorno al collo e alla parte inferiore del viso; dato che i capelli erano raccolti in una delle sue solite bandane, l'unica cosa che si riusciva a scorgere sotto tutto quel tessuto erano gli occhi colmi d'impazienza.
Mess si affrettò a seguire lei e gli altri, che già si erano incamminati verso la città, affondando le punte in metallo degli scarponi nel sottile strato di nevischio primaverile che ricopriva il terreno.

«Sei sicuro che questa sia la fantomatica Baltia?» mormorò, affiancando Lyon.

Avvolta da quel cappotto nero, la gobba sulla sua schiena sembrava ancora più pronunciata del solito, ma anni di esercizio sui ponti dell'Argon avevano conferito al corsaro la destrezza necessaria a mantenersi in equilibrio su qualsiasi terreno.
«Non lo so. La rotta tracciata sulla mappa termina qui, quindi o Baltia e Kiev sono la stessa cosa, oppure la chiave per trovare la nostra meta si nasconde in uno di questi palazzi.»

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