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Il soldato mi seguì ogni istante

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Il soldato mi seguì ogni istante.
Fermo sulla mia porta, assecondò le mie mosse mentre preparavo i miei bagagli con minuzia, bloccandomi solo al suono delle urla provenienti dall'esterno.
Dentro di me, c'era la voglia di urlare. Era vero: avrei afferrato lo stupido bavero della guardia servizievole e l'avrei sbattuto con forza al muro. Lo avrei ucciso, lo avrei fatto sanguinare: forse così, la testa avrebbe smesso di girare.

Ma non feci nulla.
Finii le valigie e le lasciai alle altre guardie, che le trasportarono per me, sempre al mio seguito. Adam non c'era - non che mi aspettassi un chissà qualche manifestazione - e finsi che andasse tutto bene.

Ormai stava calando la sera e i cittadini erano già rinchiusi nelle loro abitazioni per la cena: restavamo noi col nostro corteo in nero, silenzioso come morti in viaggio verso l'inferno.
Attraversando la piazza, notai di nuovo il palo dell'esecuzione: questa volta, era stato ripulito e liberato, pronto alla prossima esecuzione.
Questa volta, sarebbe stata indetta da mio marito.
Il solo pensiero mi fece rabbrividire.
Stavo finendo nella bocca della balena, stavo sprofondando verso il fuoco.

«L'entrata è qui, signorina.»

Il soldato mi mostrò la porta d'entrata della caserma - una ben curata abitazione appena fuori alla cinta interna, nascosta fra gli alberi del giardino boschivo. Solitamente, li abitava il comandate del piccolo esercito della città - un uomo basso e vecchio, ormai vicino alla morte: mi chiesi dove fosse finito.

«Non entrate?» Domandai, notando le guardie lasciare le mie casse sull'uscio di ingresso. Mi zittii quando un paio di servitrici corsero da noi, portandole via.

«Dovreste entrare.»

Strinsi le labbra, ormai consumate dai morsi, e guardai davanti nell'antro buio. La paura mi risucchio come un bacio notturno e, così, mi lasciai andare.

«Il signor Donovan è nel suo studio, signorina,» informò la cameriera che chiuse le porte alle mie spalle. Teneva una candela in mano, così da farmi strada: era anziana e le sue mani consumate dal lavoro, eppure manteneva quel barlume di bellezza di una gioventù lontana. Mi fece pena. «Vi accompagno nelle vostre stanze.»

Quella fu una piccola nota positiva. Uriah non voleva incontrarmi - non ancora, almeno - e questo mi donava un ultimo e breve momento di felicità. Per una notte ancora, potevo fingere che tutto andasse bene.

«Credevamo arrivaste prima, signorina,» commentò la donna, accompagnandomi al piano di sopra. «Il signore ci ha chiesto di preparare il pollo.»

«Detesto la carne,» sussurrai, ancora tremolante. La donna non commentò, se pur mi dedicò un breve sorriso.

«Questa porta dà ai vostri appartamenti,» mi informò ancora, dandomi accesso ad un corridoio laterale: «sulla destra, la camera da letto e una piccola libreria mentre sulla sinistra il bagno ed una piccola sala per il tè.»

Ophelia | il cacciatore di stregheWhere stories live. Discover now