05

12.5K 595 41
                                    

Preferivo morire di fame piuttosto che condividere un altro istante con quell'insolente di Uriah. Per fortuna, Dora prese sul personale il suo svenimento, mandando a chiamare persino il farmacista pur di dargli il meglio.

Fu essenziale.
Ripreso il mio mantello dalle mie stanze, fuggii per la villa, sperando di trovare una fuga. Ci riuscii, se pur in modo differente.

Oltre le cucine, una porta in legno dava al giardino sul retro, dove - da una parte - erano state costruite le stalle, e dall'altra un piccolo laghetto nell'erba stanca.
Il giardino era circondato da un cancello alto quasi quanto gli alberi e, seguendolo, notai che le porte erano state chiuso con una pesante catena in ferro.

Accarezzandone il lucchetto, mi resi conto che non avrei avuto scampo.
Uriah aveva pensato a tutto.

Sospirai e, pesante come un mattone, caddi sulla piccola panchina costruita sulle rive del laghetto. Non vi erano pesci ma solo foglie cadute dagli alberi in via di morte.

Vista – e non solo – la notte insonne, mi sentivo stanca e spossata, quasi il mio stesso corpo si rifiutasse di aiutarmi a mantenermi sveglia o attiva. Non avevo voglia di nulla, neppure di respirare o fingere di non essere triste: semplicemente, stavo perdendo le speranze e far finta di nulla non avrebbe cambiato le cose.

Negli ultimi tre anni avevo mal accettato e sopportato la dominanza di Adam, ben sapendo che, in ogni caso, per quanto avessi potuto scappare o urlare, nessuno sarebbe mai venuto in mia difesa. Secondo la legge, appartenevo all'unico uomo di casa e, se lui provava quegli strani sentimenti nei miei confronti, certamente la colpa sarebbe ricaduta su di me.

Ed era orrendo, intollerabile, perché sapevo che non avevo mai fatto nulla per generare quell'ossessione, o tutta quella cattiveria che spesso ne è derivata. Inizialmente, non lo accettavo: tentavo fughe nei nostri vecchi amici di famiglia e, una notte, arrivai persino a chiedere l'aiuto ai soldati.

La notte precedente, Adam mi aveva legato al suo letto per costringermi a dormire con lui, ed io, pur di fuggire, mi ero rotta il polso. Secondo la polizia ero solo una ragazzina sciotta dalla morte prematura dei miei cari genitori e, che, magari, sfogava la propria rabbia facendosi del male e incolpando il fratello delle sue insolite paranoie.
Quella notte, furono proprio loro a riportarmi da Adam.

Mi bloccai, tesa, e subito un forte dolore si irradiò dalle mie mani: quando abbassai lo sguardo, notai che mi ero grattata le braccia e le mani con così tanta foga che mi ero scorticata la pelle, ed ora sangue leggero macchiava le mie vesti scure.
Nemmeno me ne ero accorta: come una goccia isolata, quel dolore presente si era unito al grande oceano di quello passato – se pur, in realtà, di passato non si potesse parlare.
Non c'era giorno in cui non soffrissi.
Nata con l'angoscia delle norme del buon vivere e dei commenti degli altri – sapendo che da questo sarebbe dipeso il non finire sulla forca, avevo superato Adam e i suoi incubi. Poi, era giunto Uriah.

Bello come un diamante in mezzo a tutta quella terra sucida, si era ben parato dietro ai suoi angoli taglienti e la punta lucente. Era crudele, ovvio, e sicuramente sarebbe finito col ferirti, eppure? Una formica è incapace di difendersi dal bambino con lo specchio.

Ophelia.

Sobbalzai, impaurita da quell'insolito sussurro. Presi a voltarmi da una parte all'altra e a tastarmi i capelli, certa di aver sentito qualcosa toccarmi.

Non una mano, una pelle, ma una voce.

«Chi c'è?» Chiesi, rimettendomi in piedi. Sembravo una pazza - forse - a cercarmi intorno senza meta all'interno di un giardino vuoto, ma sapevo che non stavo sbagliando.
Non avevo perso il senno, non ancora.

Mi morsi le labbra, sfogando il mio nervosismo. Dovevo cercare, dovevo mantenere l'attenzione: c'era qualcosa che non andava, ma cosa?

«Le siepi.»

Camminai con cautela, io stesso perplessa da quell'insolito pensiero. Sfiorai i rami spogli di ciò che restava di quelle piccole nuvole di erba e, una volta chinatami a terra, notai che alcuni erano stati spezzati, quasi qualcosa fosse corso via, sperando di nascondersi.

Ero certa che al mio arrivo non fossero in questo stato.

Corrugai la fronte, guardandomi ancora intorno e scoprendomi ancora sola. Certamente, non potevo essere stata sorpresa da un fantasma.

Insolito.

Tirai le maniche del vestito sino alle mani e, con cautela, strisciai fra i rami, cercando - per quanto possibile - di proteggere la pelle già ferita.
Nessuna orma, nessuna strana traccia: ormai, sembrava certo avessi preso un abbaglio.

Eppure, qualcosa c'era.

Sfiorai con cautela i petali morbidi della triste magnolia. Era bianca come un gelido fiocco di neve, ma viva come il più bello dei desideri.
La raccolsi, accogliendola fra le mie mani, e la scrutai ancora.

Come avevo fatto a riconoscere quel fiore?

«No! Vi scongiuro, no!»

Catturata dalle urla, fuggii subito dal mio nascondiglio, senza nemmeno curarmi di quando il mio nastro si impigliò fra gli arbusti, sciogliendo i miei capelli all'ombra.
Una donna era braccata da due soldati sull'uscio del cancello della villa: piangeva, urlava e supplicava in un modo che, sin dal primo momento, mi spezzò l'anima.

Poco lontano, riconobbi un'altra figura: la vittima di Uriah, la presunta strega. Era ancora svenuta, per questo le guardie la trascinavano a peso morto sulla sabbia sporca.
Quando uscirono dal cancello, la donna in libertà provò a raggiungerla, ma subito venne spinta via.
Vedendola a terra, provai dolore per lei, e non solo quello fisico, ma anche nell'animo: vergogna e rabbia le avrei riconosciute ovunque.

«Margherite,» chiamò ancora, in un'ultima preghiera. Questa volta, non si alzò, né pianse.
Entrambe sapevamo che non c'era possibilità di cambiare ciò che sarebbe stato, né di impedirlo: all'alba, quella donna sarebbe bruciata sul rogo, esattamente come tutte le altre.

Sarebbe rimasta solo la cenere.

«Ophelia!»

Uriah mi guardava da lontano, quasi in attesa davanti al portone del suo castello. Di nuovo ristabilito, aveva riacquistato la solita aria canzonatoria e mai umile. Questa volta, il cane nero giaceva nell'ombra, ben distante da lui.
In quel momento, seppi con certezza che avrei pagato caro il non aver impedito la sua fine.

I suoi occhi non mentivano, né l'odio che riflettevano. Sarei morta presto.

Angolo

Per le magnolie sono fiori che evocano molta tristezza, quindi si abbinano totalmente a questa storia🌸

Un capitolo di riflessione, tanto per prendere un poco di respiro: Ophelia sta vivendo nella paura e nella confusione, ed ora cosa accadrà?
Uriah è piuttosto arrabbiato, ed ora iniziano anche le stranezze 🌝

Che idee vi siete fatti?

Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Fatemelo sapere, mi farebbe molto piacere e aggiornerei prima :)

A presto,
Giulia

Ophelia | il cacciatore di stregheDove le storie prendono vita. Scoprilo ora