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Nella luce del giorno, la mia nuova camera da letto acquistava un poco di felicità e brio

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Nella luce del giorno, la mia nuova camera da letto acquistava un poco di felicità e brio. Le pareti, in realtà, erano state decorate con carte ed arazzi sui toni estivi, che, se colpiti dai raggi diretti, emanavano un leggero scintillio, forse a causa di alcuni fili argentati nella trama.

Il letto sfatto era un tasto dolente nell'ordine asettico del mobilio, ma, nemmeno per un istante, provai il desiderio di alzarmi e sistemare le coperte. Restavo immobile, seduta nel mio piccolo angolo fresco vicino all'alta finestra, e mi rigiravo il mio orologio fra le dita.

Piccolo ma fragile, non ricordavo con precisione per quale occasione mio padre me lo avesse fatto in dono. Chiusi e riaprii più volte il coperchio, rigirando fra le dita il cinturino in cuoio.

Prima di allora, non avevo mai visto un arnese simile. Nel senso: avevo visto degli orologi, ma mai costruiti in quel modo. La moda li voleva a catena e portati nella tasca del pantalone.

Mai al polso – mai, nemmeno un esemplare – e certo io non adoravo fare sfoggio del mio. Probabilmente, nemmeno Adam lo aveva mai visto, né mi ricordavo di averne mai a conversato con mio padre.

Lo vedevo come un piccolo segreto, uno dei piccoli feticci che mi ero concessa, e lo rigiravo e rigiravo, appigliandomi a quel calmo meccanismo nei momenti più bui.

Come se fosse il battito del cuore della persona amata, io vi trovavo rifugio.

«Deve essere molto importante.»

La signora Dora mi guardava dall'alto delle sue faccende domestiche. Indossava un abito largo e dalle tinte scure, come i suoi capelli ben legati. Sembrava più anziana, ora che le rughe formavano quelle piccole ombre sulla sua fronte, ma il volto restava gentile e simpatico, quasi ti invogliasse a fidarti di lei.

Io non mi fidavo di nessuno.

«È solo un vecchio orologio,» spiegai, nascondendolo subito nella tasca del mio vestito: «un dono di mio padre.»

«Il padrone mi ha detto che è morto da pochi anni,» ricordò ancora, sistemando le lenzuola con cura. «Mi dispiace, signorina: non è mai bello perdere un genitore caro. Per fortuna avete avuto vostro fratello.»

Oh, mio fratello.

Poggiai la testa contro la vetrata, nemmeno tentando di risultare composta mentre, come al solito, sentivo ben parlare di Adam. La gente, il più delle volte, mi stupiva con le sue concezioni: una madre che alleva i figli da sola era normale, mentre un uomo che faceva lo stesso era un santo. Una figlia orfana non poteva prendere il posto del genitore, per quanto potesse avere le capacità, ma un figlio maschio sì, anche se non le aveva.

Adam diceva che questo era l'unico modo di vivere possibile – un mondo in cui gli uomini sapevano cosa dovevano fare e le donne ascoltavano, fidandosi ciecamente.
Per me, era completamente fuori di senso.

Ophelia | il cacciatore di stregheWhere stories live. Discover now