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Il lume della candela vibrava come una docile ballerina fra le mie mani: calda, elegante e fugace.

Quella sera - sotto sorpresa di tutti - avevo cenato con Uriah: non parlammo molto, ma nemmeno provammo ad attaccarci e, in fondo, questo era già abbastanza.
Lui non parlava del suo lavoro, né di quelle cose che erano solo sue: preferiva i fiori, il tempo e la fragranza del pane caldo.
Come tutti, anche lui aveva dei segreti, ed uno di questi era che, per quanto costretto, nemmeno lui voleva sposarmi.

Premetti con forza contro la grata della prigione, riuscendo ad aprirla con poco fracasso - comunque, anche quella sera non vi erano guardie all'orizzonte, 
Scesi con cautela, sempre per non inciampare nei miei stessi passi, e, quando il solito puzzo di marcio mi invase i polmoni, trattenni il respiro.

«Siete ancora qui?» Chiesi, non muovendomi dalla porta. Mi ero convinta di essere coraggiosa ma la verità è che ero terribilmente codarda: tutto ciò che non conoscevo mi terrorizzava a morte. «Sono la ragazza dell'altro giorno.»

Sul fondo, avvertii un fruscio ruvido di catene. La mano pallida di Hamlet sbucò dalla prigione aperta, poi il suo volto scavato e, infine, il sorriso beffardo.

«La mia dolce Ophelia,» canzonò, riconoscendomi: «di nuovo qui per salvarmi.»

Corrugai la fronte, indispettita, e strinsi con forza il sacco che stringevo nell'altra mano. «Vi ho portato del cibo.»

Glielo lanciai vicino ma Hamlet non si mosse, seguendo la sua caduta con un sopracciglio alzato.

«Non mangiate?» Domandai, perplessa.

«Sei la fidanzata del principe, potresti averlo avvelenato.»  Hamlet raccolse il sacco e ne tirò fuori una pagnotta di pane. Spezzandola in due, me ne porse una metà: «provami che non è così.»

Lo osservai, incupita da quella sfida mal velata.
Era un circolo continuo: ogni qual volta incontrassi un uomo, lui mi costringeva a dimostrargli fedeltà.

«Non ho avvelenato quel cibo,» ammisi, fredda: «né sono la fidanzata di Uriah, non ancora.»

Hamlet scosse le spalle, tenendo ancora alzato il pane. «Quindi non avrete problemi a mangiare.»

Colpita là dove più bruciava - il mio orgoglio - mi incamminai come una furia verso di lui, prendendo il pane e dandogli un unico morso vorace.
Hamlet sorrise, vittorioso, e prese a mangiare in mia compagnia.

«Buono, vero?»

Sbuffai, indispettita, e mi sedetti sopra il tavolo lasciato in corridoio, forse un tempo riservato alle guardie di controllo. Era così alto che i miei piedi non toccavano terra.

«Qua sotto è terribile,» commentò Hamlet, notando il mio silenzio. Diede un calcio alle catene e mi si avvicinò, sedendosi al mio fianco.
Lo scrutai, vividamente incuriosita da quello strano ragazzo: pallido come un cecio, il suo corpo era un grumo di ossa spigolose coperte da pelle liscia. Indossava abiti scuri e smessi, forse di diverse taglie più grandi, e puzzava davvero.

«Chi siete davvero?» Domandai.

Hamlet scosse le spalle. «Un prigioniero?»

«Uriah non fa prigionieri: il suo compito è uccidere, non riempire celle,» replicai, dura: «Dovresti essere morto.»

«Morto?» Hamlet ridacchiò. «Privando così il mondo dello splendore dato dalla mia esistenza. Impossibile.»

Sicuramente, l'ego non gli mancava. Come la maggior parte degli uomini, teneva più all'onore che alla verità, soprattutto davanti ad una donna. 

Ophelia | il cacciatore di stregheWhere stories live. Discover now