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A tre giorni all'alba del matrimonio arrivò il mio abito da sposa.
Lo avevo guardato a lungo, perdendomi in quei metri di stoffa confusi.

Sfiorai piano una manica leggera, ma subito ritrassi la mano, quasi ustionata. 
Un vestito da sposa: ne avevo uno, creato appositamente per me.
Certo, sapevo che ci sarebbe stato un matrimonio ma non ci avevo mai pensato davvero.
Ma ora c'era il vestito, lo potevo toccare, e come non credere a questo?

Mi stavo per sposare.

Contrita, mi morsi il labbro inferiore, non sapendo bene che dire o fare.
Avevo appena diciassette anni, per molti avrei già dovuto avere dei bambini, ma per me non era così.
Io credevo che il destino delle donne fosse sbagliato: creature splendide e anche terribili, a volte persino spettacolari - così diverse, ma tutte costrette ad adeguarsi ad una cultura scritta dagli uomini.

E come può un uomo decidere per una donna?
Ci volevano mogli, ci volevano madri, e la storia finiva in quelle parole. Potevamo essere gentili, simpatiche e intelligenti, ma tutto si annullava quando l'anello veniva messo al dito.
Vita in funzione di uno scopo, non di una persona, di una mente e un cuore.

Io non volevo questo per me.
Avevo smesso di esistere ancor prima di essere considerata una donna e, in così poco tempo, già mi reputavo stanca.
E lo sapevo, essere tale mi recludeva persino il poter decidere - anche della mia stessa vita - ma mi ero convinta di dover essere più che sfacciata.
Nessun fratello, nessun marito, nessun figlio: ecco ciò che sarebbe successo.
Sarei diventata ciò che avrei voluto, indipendentemente dal finale.

Il mio cuore tremava quando bussai alla porta, attendendo, con cautela, l'invito, e, probabilmente, stavo già per piangere quando il volto di Elias comparve davanti a me.

«Ophelia?» Domandò, sconvolto. Mi guardò veloce, notando subito ciò che stavo indossando, e sbiancò di netto, quasi avesse visto un fantasma. «Ophelia.»

Tentennante, strinsi le labbra, non volendo cedere proprio allora. I piedi, sempre nudi, erano gelidi sul pavimento, e di quella stessa paura era afflitta la mia anima.
Per me, era come morire.

«Come sto?» Chiesi, alzando le braccia per mostrare bene il tessuto. «Emily lo ha scelto per me.»
Indossare quell'abito mi era costato fatica fisica e dolore mentale. Toccata da quella stoffa insanguinata, la mia pelle piangeva, non riuscendo a sopportare quella costrizione.
Guardandomi allo specchio, avevo visto il peggiore dei miei mostri - nient'altro se non il mio futuro.
Era lì, vivo e reale, che mi guardava dritto negli occhi. Se fossi stata una codarda, in quel momento avrei esitato - avrei rubato un coltello e me lo sarei piantata nel petto - ma io avevo smesso di avere paura, e avevo deciso di vivere.
Volevo questo, lo volevo disperatamente.

«Stai bene,» sussurrò, in un sospiro.
Scossi il volto, non riuscendo a credergli. «Dimmi la verità.»

Elias rimuginò con sofferenza, assorbito dalla colpa. Forse aveva compreso i miei patimenti e, in effetti, chi meglio di lui per comprenderlo?
Aveva conosciuto la prigionia, l'indifferenza e la perdita, esattamente come me.
In realtà, se pur privilegiato, uno stregone avrebbe potuto considerarsi simile ad una donna. Ma, comunque, il suo scalino era più in alto, come quello di un carcerato.

«Questa non sei tu,» disse, così.
Era tutto ciò che volessi sentire.

I suoi occhi erano azzurri, perfettamente limpidi: quella, era una delle cose che per prima mi aveva colpito, lasciandomi senza fiato. Occhi puri, di una persona innocente, anche se Elias non lo era affatto.
Ma lo sembrava e, per quanto fosse difficile ammetterlo, Elias rimaneva diverso.
Indescrivibile, senza regole e senza limiti, totalmente difficile da capire.
E quella sera, nella sincerità dei suoi occhi e nella paura del mio cuore, rividi in lui un ragazzetto sporco con le catene ai piedi.
Quello, però, non era Hamlet, ma Elias - semplicemente lui - e mi ritrovai a pensare che, un giorno, sarebbe stato bello conoscerlo.

«Sembri una persona a cui tengo molto,» dissi, persa. Elias quasi non respirava e sapevo che non avrebbe fatto nulla, perciò fui io a muovermi.

Presi il suo volto fra le mie mani e mi avvicinai, premendo le mie labbra sulle sue.
Iniziato come un gesto veloce, si prolungò nel tempo, perché di quest'ultimo si erano private le nostre menti.
Le labbra di Elias erano morbide e calde, così come le sue mani quando sfiorarono il mio collo.
Lui tenne gli occhi chiusi, ma io no, perché decisa a non volermi perdere nulla di quel momento, né di sentirlo meno reale.
Ero stata io a baciarlo: l'avevo voluto di mia volontà e non me ne sono mai pentita.
Così diverso da qualsiasi altro bacio avessi avuto, lo sentii come se fosse il primo e l'unico.
E il motivo era il più facile fra tutti: un addio.

«Scusa.» Una lacrima spezzava la sua guancia quando mi allontanai, ma fu difficile capire se fosse mia o sua. «Non è giusto.»

Lui si arrese dopo un istante, annuendo a testa bassa. Mi allontanai da lui, tornando sui miei passi, e tirai un sospiro.

«Credo che dovrei tornare nella mia stanza.»
Lui annuì ancora, ma questa volta mi guardò, imprigionandomi nei miei occhi.
Sapeva che lo stavo lasciando.

E sarebbe capitato allora, se un urlo non ci avesse interrotti, costringendoci alla terra.

«Elias! Elias!»

Uriah ci corse incontro e, tutto spettinato e con la camicia sbottonata, sembrava quasi un pazzo.

«Uriah? Cos'è successo?» Domandò il giovane, colpito. L'altro stava quasi per svenire, tanto trafelato.

«Emily,» disse lui, tutto d'un fiato. Ci guardò entrambi, scuotendoci il petto. «Emily è stata rapita.»

Angolo

Nuovo capitolo!

Ophelia ha baciato Elias: cosa vorrà dire?

Siamo sempre più vicini alla fine, siete pronti??

A presto,
Giulia

Ophelia | il cacciatore di stregheWhere stories live. Discover now