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Questa volta, i passi erano più esperti.
Corsi velocemente nelle mie stanze, indossando un abito semplice e le scarpe - Dora mi aveva allietato con la cena in camera, ed io, di rimando, afferrai il vassoio e lo portai con me.

«Sarà affamato,» commentai, rivolendomi ad Elias, che mi fissava dall'uscio. Probabilmente, credeva che fossi matta.
Per ultimo, mi fermai di fronte allo specchio, osservando il mio volto e il vestito verde tenue, lisciandolo più e più volte.
Non ero nella mia versione migliore e me ne rendevo conto: i miei capelli ramati sembravano un cespuglio di nodi e paglia e perciò li legai in due trecce spettinate, lasciandole al loro destino. Mi pizzicai le guance per farle diventare più rosse e strofinai gli occhi, così da farlo inumidire e brillare.

Quando mi guardai per la seconda volta, sembravo ancora una bambina selvaggia in un abito ben cucito.
Fu una delusione.

«Elias,» chiamai, afflitta: «credi che che io sia carina?»

Il cane rimase immobile e questo fu sufficiente per farmi provare l'imbarazzo che meritavo. Cosa stavo facendo, mi domandavo se ero bella? E non lo facevo per me, perché non mi ero mai piaciuta, ma per Hamlet.
Sembrava sciocco, quasi insensato, ma quella sera quel nuovo pensiero aveva iniziato a pungere la mia mente: Hamlet era una persona cortese, al contrario di Uriah, e, forse per questo, mi preoccupavo della sua opinione.
Non lo conoscevo abbastanza per potermi dire di fidarmi, ma, quel poco che avevo scoperto, era stato sufficiente per farmi sperare: dopo tanto, finalmente avevo incontrato una persona che si era rivolta a me con gentilezza, senza aspettarsi nulla in cambio.
Ed era bello, per una volta, non sentirsi semplicemente una sorella, una moglie o una donna, ma solo una persona simpatica con cui parlare.
Forse, avrei dovuto ascoltare quell'altra parte di me, quella che, nel profondo, mi ricordava un'estrema verità: Hamlet era in una cella e sono i delinquenti vengono arrestati.

«Credo che vada bene così,» decisi, arresa. Presi il vassoio e uscii dalla stanza, facendo attenzione al cane. «Vieni, Elias.»

Ormai la strada la conoscevo a memoria, e persino il non trovare guardie all'orizzonte sembrava una consueta tradizione. Forse, Hamlet non era così pericoloso.

Ci stavo credendo troppo.

«Hamlet,» chiamai, arrivata nello stretto corridoio: fra poco, sarebbe tramontato il sole, ma c'era ancora abbastanza luce per vedere senza candele. «Sono Ophelia, ti ho portato del cibo.»

Posai il vassoio sul tavolo e mi sedetti, attendendo un poco. Poi, il poco si prolungò, e questo mi confuse.

«Hamlet?» Mi sporsi verso la sua cella, cercando di capirvi qualcosa, ma, subito, capii che non c'era nessuno. Era vuota.

«Hamlet!» Scesi, veloce, e corsi verso le sbarre, volendomi accertare di non essermi sbagliata: non era così. Hamlet non c'era, era scomparso, e sapevo che non fosse possibile: Uriah era stato tutto il giorno impegnato con i rivoltosi. Che l'avessero liberato? Che fosse riuscito a scappare?
Alla fine, mi aveva lasciata anche lui.

«Ophelia.»

Boccheggiai, avvertendo il soffio di una voce alle mie spalle. Quando mi voltai, il mio cuore ebbe un tremito.

«Hamlet?»

Lui mi sorrise, gentile. «In carne, ossa e putrefazione. Ti ho spaventata?»

«È che non vi ho visto nella cella,» ammisi, imbarazzata. Subito, tornai a sedermi sul tavolo, ben lontana da lui: «c'è stata una rivolta questa mattina e temevo che vi avessero fatto del male. O che foste scappato con loro.»

«Lo temevi?» Incalzò lui, sedendosi al mio fianco. Il suo sorriso era più sghembo del solito, quasi fosse estremamente felice di un qualcosa che io non capivo: era identico ad un bambino con un segreto stretto fra le mani.

Ophelia | il cacciatore di stregheWhere stories live. Discover now